Amaro fra i cerchi olimpici mascherati se anche un fenomeno come Simone Biles, campionessa della ginnastica, dopo una brutta prova al volteggio, con le americane che le prendevano dalle russe, si è chiamata fuori dal gioco nel tempio: «Devo concentrarmi sulla mia salute mentale e non mettere a repentaglio la mia salute e il mio benessere». La ginnasta che a 19 anni incantò ai Giochi di Rio, quella che dopo tormenti, denunce, assoluzioni per le sue medicine che dovevano curare la sindrome di attenzione, era arrivata a Tokio per stupirci ancora, si è messa al collo l'argento di squadra, isolata da tutto e da tutti. Noi che aspettavamo altre meraviglie come il doppio raccolto indietro e avvitamento forse non la vedremo nelle sei prove individuali che a 24 anni doveva divinizzarla. Succede spesso che il campione perda l'orizzonte. Si piange, si fanno domande, ma loro, i predestinati, si ribellano come è accaduto a tanti prodigi. A Tokio abbiamo vissuto il tormento della nostra ranista bambina, la Pilato primatista del mondo, che ha fatto subito le valige. Altri hanno sbattuto contro questo muro creato artificiosamente da chi vorrebbe automi e non esseri umani nella tempesta agonistica. Certo è diversa la resa di questo fenomeno nato fra Ohio e Texas, molestata quando cresceva e faceva miracoli, da quello di altre tipo l'Osaka tennista che dopo aver acceso il fuoco olimpico si è proprio bruciata.
Stessa cosa per la Pliskova, una ex numero uno del tennis, eliminata dalla nostra Giorgi, un'altra che spesso è rimasta stritolata dalle aspettative. I grandi avvenimenti, le Olimpiadi, si mangiano spesso l'anima dei loro campioni. Dovremmo capire, invece di giudicare. Nell'orgia di superlativi olimpici dimentichiamo sempre che i fenomeni sono anche esseri umani.
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