Froome IV, il re senza popolo diventato fenomeno in Italia

Lo scoprì Claudio Corti: "Si vedeva che aveva la testa da campione. E affrontava la fatica con leggerezza..."

Froome IV, il re senza popolo diventato fenomeno in Italia

È il dominatore del Tour. Quarto successo in giallo, senza giallo, visto che sin dall'inizio si sapeva come sarebbe andata a finire e non c'era bisogno di scomodare l'ispettore Maigret. Non è amatissimo Chris, nonostante sia una persone perbene, tranquilla e disponibile. Ma si porta sulle spalle e sul petto l'antipatia di un team troppo ricco e troppo forte per meritare anche la simpatia altrui. Anche gli inglesi restano freddini: lo considerano troppo poco inglese. Nato a Nairobi in Kenia, cresciuto anche ciclisticamente in Sudafrica prima di trasferirsi in Italia, Froome è diventato britannico di passaporto ma non è sufficiente per bucare il video come sir Bradley Wiggins. Non per niente vive a Montecarlo, non Wiggins, ma Froome.

A come ancora. Ci ha preso gusto, e probabilmente non ha finito qui. Quattro Tour de France, tre consecutivi, uno regalato nel 2012 al compagno di squadra Bradley Wiggins, e ora pensa già alla cinquina, per raggiungere nella Storia, quella con la «S» maiuscola, Jaques Anquetil, Eddy Merckx, Bernard Hianult e Miguel Indurain.

C come Claudio Corti. A scoprire Froome e a portarlo in Europa dal Sudafrica è il bergamasco Claudio Corti, campione del mondo fra i dilettanti e per due anni consecutivi campione italiano ('85 e '86) tra i professionisti. Era il 2007, e l'ex tecnico di Gianni Bugno lo individua e lo porta alla Barloworld: sponsor sudafricano. Cosa lo colpisce? Ce lo spiega direttamente lui. «Già allora riusciva a correre con frequenze eccezionali in salita. Se la cavava pure a cronometro. Ricordo nitidamente che pronosticai per lui un futuro da campione. Perché? Per la testa. Aveva fame, era convinto e determinato come pochi. Molto maturo, a dispetto della sua età. Anche nella vita privata era un ragazzo molto tranquillo. Ha sempre voluto vivere da solo: prima a Chiari, prima di trasferirsi a Nesso (Como). Era un po' grezzo, poco portato per il ciclismo, andava educato e anche tanto. Ma aveva passione e motore. Lui affrontava la fatica con leggerezza. Ricordo che dopo aver corso il Trittico Lombardo, voleva tornare a casa con lo zaino in spalla in sella alla sua bicicletta per mettere chilometri nelle gambe, gli spiegai che questo lavoro non va fatto ad agosto».

D come dinoccolato. A vederlo sembra sempre che stia per cedere da un momento all'altro. Il suo incedere dinoccolato, ingobbito sul manubrio, con quella testa che ciondola continuamente davanti al proprio manubrio sembrano tutti segnali di un corridore in chiara difficoltà, pronto a mollare la presa e a rialzarsi: non per Chris.

F come frullino. È il suo modo di pedalare, il suo modo di scattare e accelerare. Sembra che lo faccia con un rapporto molto agile, ma così non è: rapporti lunghi ma tirati con alta frequenza, da qui appunto il frullino. Quest'anno l'ha fatto pochissimo, solo per rintuzzare qualche attacco avversario. Ma alla fine li ha frullati lo stesso.

M come malattie. In passato ha sofferto di schistosomiasi (detta anche bilharziosi, malattia tropicale del sangue dovuta a un parassita dell'acqua che lui ha contratto in Sudafrica andando a pesca) che in passato lo ha debilitato parecchio.

Q come qualità: fisiche. 185 cm per 66 kg. Peso piuma (rapporto peso/potenza superlativo) da scalatore e leve lunghissime che lo favoriscono nelle cronometro. Ha un motore eccellente, massimo consumo di ossigeno stimato sui 86/87 ml/kg/min.

T come talento e tattica. Ha sempre avuto talento. Da Under '23, per esempio, ha vinto una tappa al Giro delle Regioni.

Cosa non facile per un ragazzo che vestiva la maglia del Kenia. In realtà il suo problema era quello di non aver cultura tattica.

Z come zero: vittorie. Ma per il sudafricano bianco non è assolutamente un problema. «Per me contava solo vincere il Tour de France: e ce l'ho fatta».

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