La svolta è stata uscire dal bunker di casa Milan dopo il divorzio traumatico da Boban. Ivan Gazidis ha preso a frequentare, quotidianamente, Milanello, ha viaggiato col gruppo squadra, coltivando rapporti, apprezzato il lavoro di Pioli e del suo staff, ha preso nota del legame umano e tecnico con il team, ha ammirato la raffinata comunicazione utilizzata nei giorni più complicati, mai fuori dalle righe della diplomazia, dell'educazione. E ha tirato la linea: promosso. Promosso a pieni voti. L'ad del nuovo Milan di Elliott, 56 anni a settembre, protagonista assoluto del ribaltone di martedì notte, non è uomo dalle facili giravolte. «In effetti- ammette dopo un lungo e meticoloso preambolo che è poi il discorso dell'incoronazione di Pioli - ho capito che in questo ruolo al Milan devo parlare di più, spiegare di più, intervenire con maggiore frequenza nell'area nella quale mi trovo a mio agio». Decisiva, dopo aver preso nota delle pretese di pieni poteri del tedesco, la sintonia con Pioli del quale Gazidis ha messo in fila le virtù. Eccole: «Non i risultati che sono arrivati dopo, ma le capacità di allestire un calcio moderno, di ottenere il meglio dal gruppo e di gestire le difficoltà ambientali con grande equilibrio». Sì, proprio così, fino al punto da scommettere: «Lo avrei confermato anche senza questi nove risultati di fila perché ha messo il Milan davanti a tutto, anche al proprio futuro!».
Così è nata la controrivoluzione del Milan resa possibile da un dirigente che tiene a lucidare il suo passato («da 26 anni mi occupo di calcio ad alto livello, non solo di finanza e di bilancio») e che può rivendicare qualche merito rimasto sepolto sotto le macerie del primo deludente semestre di campionato, tra scelte discusse (Giampaolo) e acquisti sottostimati. «Da queste settimane è uscito valorizzato il patrimonio allestito nell'estate precedente dalla nostra divisione di scouting, un'eccellenza mondiale: Bennacer, Hernandez, Leao, Rebic sono le tessere del puzzle ricomposto dopo il lock down» è la sottolineatura dedicata a Moncada e Almstadt, che sono i suoi occhi fidatissimi sul mercato. «Nel mio ruolo c'è anche il compito di avere contatti, conoscere protagonisti, contattare tecnici come ho fatto nei giorni dell'addio di Giampaolo: Rangnick è stato uno di questi, non il solo. Erano informati tutti, anche Pioli. E con il tedesco non c'erano accordi, né penali, né contratti, né proposta di fare il dt. A tutti ho ripetuto: decideremo a fine stagione», la spiegazione che può essere di facciata, d'accordo, ma che ora deve passare come ufficiale perché oggi è questo lo scenario. Non c'è Rangnick, probabilmente rimasto a piedi a Lipsia e c'è invece Pioli col suo lavoro che luccica sotto il sole di Milanello, pronto a suggerire le prossime mosse «per migliorare la squadra ma non le dico», così come Gazidis tace del budget, niente cifre, 75 o 70 milioni più il 50% delle cessioni, poco importa. «Faremo investimenti intelligenti grazie a una solidissima proprietà» la promessa generica. Non c'entra perciò l'ipotetico cambio di azionista, smentito in modo fermo. «Assolutamente no» la risposta appuntita che non consente repliche né narrazioni fantasiose. «Mai ho pensato di fare del Milan una squadra solo di giovani. Il mix tra gioventù ed esperienza è la strada giusta che può portare al rilancio del club che gode di altri primati, la struttura di milan-lab per esempio». La morale è allora quest'altra: «Accetto pareri diversi nel gruppo di lavoro ma il Milan deve restare davanti a tutto», frase spedita in Croazia, a Boban.
Perciò aspetta la risposta ufficiale di Paolo Maldini (ha 2 anni di contratto e vorrei anche prolungare), tifa per la riconferma di Donnarumma («Mi piacciono il suo amore per il club»), giura di capire se è possibile proseguire con Ibra («bisogna essere d'accordo in due, e farlo velocemente, certo il giudizio del tecnico è importante») per giungere alla fine dell'intervista. E qui richiama la comune visione del progetto Milan cui è indispensabile il contributo fondamentale «di uno stadio top class».
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