C'è una legge, non scritta, nel calcio che recita più o meno così: la strada del successo è spalancata a quei club che godono di un management, ristretto, capace di lavorare in perfetta sintonia. Gli esempi, viziosi e virtuosi, si sprecano in materia. Basta guardare alle due facce della Roma calcistica, per esempio: la Lazio di Lotito è un blocco monolitico, con una catena di comando snella, fatta di 3 persone (presidente più Tare e Simone Inzaghi), mentre la Roma con proprietà negli Usa, consiglieri a Londra e il resto a Trigoria, fatica a macinare successi.
Fotografia confermata se si guarda a Milano dove l'avvento di Marotta, all'Inter, ha prodotto una compattezza unica: il club parla con una sola voce e si muove con un solo programma tecnico influenzato (per usare un eufemismo) da Antonio Conte. Sembra stucchevole il riferimento alla storia berlusconiana del Milan ma contiene anch'essa un insegnamento: per 27 dei 31 anni è stato un esempio e un punto di riferimento, persino per la Juve di Agnelli che a un certo punto provò a ricalcarne le orme con Maifredi e Luca di Montezemolo, prima di dividersi in due repubbliche, indipendenti l'una dall'altra, con grave declino. Nel Milan di Elliott, al netto degli errori commessi nello scegliere i tempi sbagliati, si sta viaggiando faticosamente verso questo traguardo.
Gazidis, fin qui, ha avuto un ruolo defilato che gli è stato brutalmente rinfacciato da Ibra, inviperito per il mancato rinnovo contrattuale. Prima Leonardo, poi Boban e Maldini non hanno mai fatto mistero di coltivare idee e filosofie diverse da quelle imposte dall'azionista. «Non so se ci sarà spazio per me nel Milan del futuro. Il mio legame con il club non è in discussione, credo», ha detto ieri Maldini. Su una cosa, bisogna convenire tutti, hanno avuto ragione. Convincere Ibra a lasciare gli Usa e fare ritorno a Milanello, operazione osteggiata dalla solita critica retrò, fu una scelta utilissima. Al pari solo dell'arrivo di Kjaer e della valorizzazione di Rebic, merito quest'ultimo da ascrivere al certosino lavoro di Pioli.
Scegliendo Rangnick, Gazidis ha imboccato un sentiero stretto al termine del quale non ci saranno più giustificazioni da presentare.
Non si potrà più dire è colpa di tizio o di sempronio: l'ad sudafricano si giocherà la dote e risponderà in prima persona al mondo Milan e a Elliott del futuro rendimento della squadra e del funzionamento del club. Compresa la divisione commerciale che fin qui non ha prodotto gli auspicati benefici.
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