Gimbo, eroe o sconfitto? Il salto di lato mondiale riapre l'eterno Bar Sport

Il 4° posto di Tamberi fa scendere già qualcuno dal carro di Tokyo. Invece è legno pregiato

Gimbo, eroe o sconfitto? Il salto di lato mondiale riapre l'eterno Bar Sport

Restare svegli in queste notti infernali, incendiate, non costa niente se fingi di essere nell'aria incanta dei mondiali dell'atletica dell'Oregon. Incantati dalla cavalletta venezuelana Rojas, regina del triplo, affascinati dalla seta muscolare della belga Thiam ancora una volta oro delle prove multiple, stregati dalla finale del miglio metrico dopo la sfida a tre vinta dalla keniana Kipgeon sull'etiope Tsegay e la veterinaria scozzese Muir, ci siamo incantati sulla finale del salto in alto vinto dalla farfalla qatariota Mutaz Essa Barshim a quota 2.37 senza svalutare troppo la medaglia di legno pregiato, macigno al collo del Tamberi oro olimpico dietro al bronzo ucraino Protsenko, un miracolo nei giorni della sua dolorosa guerra, e all'argento coreano Woo che abbiamo scoperto quando ha vinto il mondiale indoor di Belgrado.

Gimbo e i suoi incubi, i suoi tormenti per non sentire dolore al momento dello stacco. Lui è uscito abbracciando tutti, accarezzato da uno stadio intero che ama il suo modo di andare nell'arena, ma con la faccia scura del campione che non sa cosa farsene di un quarto posto mondiale anche se noi abbiamo trepidato e gioito per i suoi bei salti che ad certo punto, fino al recupero di Woo, quando i 2.35 sono diventati la barriera fra la gloria e la delusione. Ha saltato bene, ma non abbastanza per prendersi quello che sognava, almeno una medaglia da capitano nella spedizione italiana che ancora non ha trovato il podio. Sembrava aver bevuto l'ambrosia che serviva per dimenticare tutto, ma quando ha chiesto tempo ai giudici per andare in spogliatoio dopo aver azzeccato tutte le prove ci siamo allarmati. A 2.35 ha trovato il muro, mentre l'oro se lo giocavano il bassotto Woo, il coreano alto 1 e 88 che, per un attimo, era andato dietro a lui fino al rischio d'argento che lo ha messo nel regno di Barshim, spingendo Gimbo oltre il muro della felicità dove invece saltava il trentaquattrenne ucraino Protsenko, uno che in carriera ha già saltato oltre i 2 metri e 40, uno che per arrivare al mondiale ha dovuto dimenticare tante tragedie della sua terra. Peccato, ma non tristezza. Tamberi ha fatto il massimo in una stagione dove non aveva mai superato i 2 metri e 30. Non era quello di Tokio, ma non era neppure l'aquila incerta della qualificazione recuperata al terzo salto e il suo salto a 2.33 ci aveva fatto anche sognare. Una ventata fresca nella notte soffocante, ma era l'ultimo urrah per il capitano dell'Italia.

Gloria agli uomini del podio, cominciando da Barshim che dopo l'oro a 2.37 si è concesso soltanto un viaggio verso il record dei campionati prima di lasciare a 2.42, abbracciato proprio all'amico dell'oro di Tokyo che a metà settembre accompagnerà all'altare. Nel paese senza memoria, che già discute le notti magiche di Tokyo guardando il medagliere vuoto di Eugene, angosciato per i guai del Jacobs che ieri sera si è riconcesso ai microfoni degli scettici, cominciando dagli americani, sapendo che la nostra staffetta vincitrice a Tokyo non sarà competitiva senza Marcello, Tamberi lascia il mondiale non da campione spodestato, ma da saltatore di grande qualità che per la finale non era davvero al meglio.

Colpa di troppe cose, non certo del rapporto incrinato con il padre allenatore. Ora merita riposo, mediazione e, se sarà pronto per gli europei In Baviera, tiferemo ancora per lui. Non per nazionalismo, ma per rispetto alla classe e al talento.

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