nostro inviato a Frosinone
Il giochetto è chiaro: non potendo offrire emozioni vere fino alle ultimissime tappe, il Giro col braccino ne inventa di carogna. A Frosinone il tocco diabolico: curva a novanta gradi, in discesa, rigorosamente senza balle di paglia, quando mancano solo 350 metri al traguardo. Passando in macchina, mi dico: «Voglio proprio vedere come fanno a restare tutti in piedi». Infatti non restano in piedi. Lanciati come invasati, come impone il loro mestiere, i corridori finiscono nel trappolone e ci lasciano la zampa. Pozzato si mette di traverso, Goss gli finisce addosso, altri cadono, cade di nuovo anche l'iridato e superfavorito dello sprint Mark Cavendish. Bingo. Per la regia del Giro è un'altra giornata memorabile: in assenza d'altro, è questo lo show.
Per la cronaca, vince lo spagnolo Ventoso, che ormai è ciociaro al merito: l'anno scorso aveva vinto a Fiuggi, un getto d'acqua da qui. Alle sue spalle, la meglio gioventù d'Italia: Felline, Nizzolo, Caruso. Un bel risultato, la linea verde in prima linea. Però sarebbe meglio capirsi bene: se per vedere i nostri ragazzini tra i primi dobbiamo falciare una moltitudine di velocisti, meglio desistere. C'è in gioco qualcosa di più importante dei nostri talenti: la salute del gruppo. E va bene che sono di gomma, e va bene che sono fachiri, e va bene che si rialzano come nuovi anche dopo schianti pazzeschi, e va bene che la caduta fa parte dello sprint. Però c'è un però: un conto sono le cadute inevitabili e fisiologiche, un altro conto sono quelle infide e vigliacche, infilate apposta tra le ruote.
Lo sappiamo: fare polemica su curve, dossi, sottopassaggi è lo sport più praticato a maggio. Spesso i corridori frignano sui pericoli più fasulli, anche solo per mascherare i propri errori. Ma c'è un limite. La curva di Frosinone non fa parte dei pericoli fasulli: è assassina di suo, punto e basta. E tale resta anche se Pozzato, sfoderando un grande senso sportivo, flagellandosi con un senso di colpa che certo non merita, si addossa il reato: «Ho preso paura e ho sbagliato. Chiedo scusa a tutti».
I soloni del palco Rai, con i corridori tumefatti sull'asfalto, manifestano con ironia il loro verdetto: incapaci e ignoranti, questi ciclisti del giorno d'oggi, non studiano i percorsi e poi arrivano in curva come impediti. Sorrisetti.
Beati loro che se la cavano con l'aria di superiorità. Beati gli organizzatori che non si ritrovano nessuno all'ospedale. Da parte mia, sposo al centodieci per cento la considerazione dell'ex Lelli, l'unico che non si diverte nel perfido gioco del tiro al piccione: «Se non avesse smesso di piovere poco prima dell'arrivo, non so come sarebbe finita in quella curva…».
Proprio così. Questa la verità. Diciamo le cose come stanno: è andata di lusso, con una fortuna sfacciata. I corridori d'oggi saranno pure leggeroni e impediti, ma un buon padre di famiglia deve tenere conto anche di questo, evitando certi trappoloni a 350 metri dal traguardo, quando la corsa è una bolgia.
Certo a quel punto il thriller sfuma, e per vendere emozioni bisogna inventarsi qualcosa di meglio, qualcosa di più. E qui casca l'asino. Non è semplice, per questa gente dalla fantasia e dal coraggio bonsai, inventarsi un grande Giro.
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