Lo chiamavano le blaireau, il tasso, per via della sua veloce capacità di afferrare la preda e di non mollarla per niente al mondo. Bernard Hinault, bretone, 62 anni a novembre (il 14, giorno in cui sono nati anche Vittorio Adorni e Vincenzo Nibali, ndr) è stato considerato a ragione l'ultimo dei grandi, con le sue 214 vittorie in carriera, tra le quali spiccano un mondiale, cinque Tour de France, tre Giri e due Vuelta. È tra i sei corridori della storia a vantare la tripla corona», avendo vinto almeno una volta tutti i grandi Giri, ma lui è l'unico ad averle vinte tutte e tre almeno due volte.
Lo incontriamo a Pinerolo in una serata speciale, quella che Elvio Chiatellino, munifico imprenditore piemontese che in passato ha portato anche il Tour de France, ha allestito per presentare la tappa del Giro d'Italia. Hinault è l'ospite d'onore tra mille campioni italiani. E non si sottrae alle domande.
Cosa pensa del ciclismo di oggi?
«Mi piace ma non mi fa impazzire. Manca un po' di coraggio, o meglio, ci sono pochi corridori in grado di fare qualcosa che possa far sembrare questo sport epico. I miei preferiti? Cancellara è uno che osa, che sa cosa significa attaccare. Un altro che mi piace tanto è Nibali: si butta, a costo di perdere. Questa è una qualità dei campioni».
Le piace il ciclismo italiano?
«Molto. Voi avete la fortuna di avere due grandi corridori. Uno affermato, di livello assoluto, come Nibali, ma dietro di lui sta crescendo molto bene anche Fabio Aru: il sardo ha doti non comuni. Credo che il ciclismo italiano stia attraversando un buon momento, ma solo voi italiani non ve ne rendete conto. Se ce li avessimo noi francesi sapremmo benissimo come proporli al mondo».
Ma anche il ciclismo francese non è male, qualcosa si sta muovendo?
«Dice? Mi sembra molto generoso. Noi per il momento abbiamo diversi ragazzi promettenti ma appena arrivano a guadagnare qualcosa si perdono e si accontentano di atteggiarsi piuttosto che diventare campioni».
Quali sono secondo lei i favoriti per i tre Grandi Giri di quest'anno?
«Nibali è chiaramente l'uomo da battere per il Giro d'Italia, Quintana per il Tour mentre per la Vuelta il discorso è un pochino più difficile. Di sicuro cercheranno il riscatto tutti coloro che avranno fallito al Giro e al Tour».
Nibali e Aru hanno fatto bene a dividersi gli obiettivi?
«Assolutamente si, scelta azzeccata e intelligente, ma attenzione: se Nibali farà il Tour, guai a considerarlo un spalla di Aru. I campioni, quando corrono, lo fanno da campioni. Può stravolgere il Tour, ma anche i piani di Aru che dovrà essere bravo a sfruttare quella carta in più che avrà a disposizione».
Un consiglio per Aru che esordirà al Tour?
«Sono sicuro che farà bene, ma dovrà prestare grande attenzione alle tappe di pianura. In ogni caso, in questo momento, credo che Quintana sia superiore a lui sia in salita che nelle prove contro il tempo, per cui Fabio dovrà fare ricorso alla fantasia».
Il suo favorito per il mondiale in Qatar?
«Vincerà un velocista, e la cosa non mi entusiasma».
Diverso il discorso olimpico di Rio?
«Percorso durissimo, esigente, per campioni veri. Vedo bene Nibali, così come Quintana e anche Froome e Contador. Non dovrebbe esserci un vincitore banale».
E della questione delle bici truccate, che ne pensa?
«Il ciclismo ha vinto la battaglia sul doping, oggi siamo modello e riferimento, ma rischia grosso con i motorini, per questo penso sia necessario introdurre la radiazione non solo per chi osa correre con bici a pedalata assistita, ma anche tutta la sua squadra».
Lei ha vinto tantissimo, ha qualche rimpianto?
«Sì, nonostante mi
sia tolto tantissime soddisfazioni, mi pesa non aver mai vinto una vostra corsa, una delle più belle del mondo: la Milano-Sanremo. È l'unica vera classica che mi manca e mi pesa non averla vinta mai. Molto più del Fiandre».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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