Ibra e Lukaku sperduti. Due giganti d'argilla stesi dai propri insulti

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Ibra e Lukaku sperduti. Due giganti d'argilla stesi dai propri insulti

Ibra e Lukaku sono due giganti per stazza fisica e dimensione del talento. Ciascuno, per la sua parte, incarna in qualche modo il capo-branco del rispettivo team e il decisivo protagonista delle fortune calcistiche del proprio club. Perciò sono venerati dalle distinte legioni di tifosi che, prima e dopo il burrascoso derby di coppa Italia, li hanno eletti a immagine sacra e inviolabile così offrendo dell'orribile gazzarra narrazione opposta, uno martire e santo, l'altro volgare provocatore e razzista addirittura. Solo il recente intervento di Paolo Bonolis, noto simpatizzante interista, dopo aver pizzicato i rivali milanisti («per forza sei primo se ti danno 14 rigori!»), ha spalancato agli occhi della sua fazione una realtà inoppugnabile. Ha dettato Bonolis. «C'è stata una cavalcata ipocrita nei confronti di un evento banale e tipico del mondo del pallone».

Non chiuderà il dibattito ma finalmente introdurrà un elemento rimasto dietro le quinte. Eppure il sabato calcistico di Milan e Inter (qui citati nell'ordine cronologico delle due partite giocate contro Bologna e Benevento) ha offerto invece una inedita chiave di lettura umana oltre che tecnica del temperamento dei due. Molti se li aspettavano pronti a cancellare le rughe del duello rusticano e invece si è colta la sensazione che le ferite lasciate dalle parole, urlate nel silenzio angosciante dello stadio, non siano state ancora perfettamente suturate.

Ibra, per esempio, descritto da Pioli come «dispiaciuto e determinato come sempre», ha fornito ben presto - già durante il riscaldamento - l'impressione di avere qualche grumo in testa non ancora perfettamente sciolto. Probabilmente l'infamante accusa di razzismo che considera più grave di una volgarità dedicata alla moglie. Di certo, nel rendimento, è stato il solito Ibra, pronto a ricevere 100 palloni per far salire i suoi, ha procurato indirettamente il secondo rigore ma nello sbagliare il primo ha forse denunciato la mancata serenità. Non è il primo penalty respinto dal portiere, gli è già capitato altre 4 volte ma quello di Bologna è stato il più prevedibile di tutti.

Lukaku ha fatto meglio, sul prato di San Siro. Ha ripreso a marciare alla sua straordinaria media (secondo miglior attacco d'Europa quello interista), ha firmato una doppietta eppure non ha regalato nemmeno un sorriso ai suoi in una serata di calcio scaccia-pensieri. Se così fosse per entrambi, se questa ricostruzione psicologica fosse dimostrata autentica, dovremmo concludere che anche i colossi del calcio, in qualche curva della loro esistenza, possono scoprirsi d'argilla.

E dovremmo concludere che dietro le corazze costruite dalla narrazione romantica dei media e delle opposte tifoserie, ci sono uomini in carne e ossa, con famiglie, figli e moglie al seguito, i quali fanno una grande fatica a riconoscersi in quelle scena da ragazzacci di strada. Vorrebbe dire, alla fine, che superato l'imbarazzo, possono tornare a essere Ibra e Lukaku, persone prima che calciatori, consapevoli d'aver commesso molti errori.

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