Ibra, "l'addio si avvicina". Ma prima ci sono Verona e una missione da finire

Nell'intervista a ESPN Zlatan svela i tormenti e anche la voglia di dare in questo finale

Ibra, "l'addio si avvicina". Ma prima ci sono Verona e una missione da finire

La metafora calcistica scelta è molto suggestiva. Zlatan Ibrahimovic, intervistato da ESPN, ne ha scelto una di grande impatto. «Sono vicino alla linea di porta» ha raccontato. E in questo caso la «linea di porta» rappresenta lo snodo più atteso della sua vita, dopo 25 anni vissuti nel calcio tra gol fatti e sfiorati, imprese firmate, trasferimenti chiacchierati e un dibattito perenne sul talento e sull'ego. Ibrahimovic è vicino alla scelta più importante della sua vita matura e consapevole dopo aver dato retta ai sogni da ragazzo, al responso della strada e alla carriera da professionista, inimitabile perché trascinata fino alle soglie dei 41 anni. «Sono frustato, vorrei essere in campo in ogni partita e quando non riesco provo ad aiutare i miei compagni del Milan in altro modo» è una delle tante confessioni che raccontano più il tormento dell'uomo, inseguito dagli acciacchi, che l'impreparazione alla vita comune. «Sono un po' impaurito: se mi dovessi fermare, cosa faccio? Potrei fare mille cose ma non saprei trovare l'adrenalina, per questo motivo sto provando a posporre la linea della porta giocando e segnando gol» è l'altra confessione ancora più autorevole perché riguarda l'incognita del futuro e quindi il panico che cattura ciascun di noi dinanzi al cambio di abitudini, lavoro, sogni, traguardi, emozioni.

D'altro canto, Ibra adesso per il Milan non è più l'Ibra arrivato nel gennaio del 2020 dopo il famoso e umiliante 0-5 ricevuto a Bergamo dall'Atalanta, sollecitato dalla telefonata di Boban. Allora cominciò una nuova avventura, fece da motivatore allo spogliatoio, da supporto a Pioli e i risultati - uno dopo l'altro - sono arrivati fino a sfiorare in questo maggio milanese il traguardo tricolore. «Non ha senso giocare se soffri troppo» è la terza confessione che però non prelude a un ritiro garantito. «Non c'è ritiro nella mia testa, altrimenti non sarei capace di aiutare i ragazzi» spiega bene perché impegnato in questo tratto di stagione in cui deve partire dalla panchina per offrire un contributo che sia anche pratico, concreto e non solo psicologico, di facciata insomma. Domenica c'è il viaggio rischioso in quel di Verona e si sa, come sottolinea Zlatan, che «da una settimana all'altra possono cambiare tante cose». Non solo. Ma quello che più conta è che per Ibra è venuto il momento di restituire parte di quello che ha ricevuto dal calcio in 25 anni di carriera nobilissima. «È il momento di tornare indietro qualcosa» la spiegazione didascalica che si coniuga con quegli spezzoni di partita in cui si muove più come un suggeritore sotto il palcoscenico che come protagonista a tutto campo. Senza mai dimenticare che poi anche così può risultare utile il suo contributo dopo le pene sofferte per gli acciacchi, l'infiammazione al tendine d'achille e il ginocchio andato in sofferenza.

Magari solo dopo il 22 maggio, Ibra troverà il coraggio di raccontare a se stesso, con realismo recuperato finalmente, «è abbastanza e cominciare un altro capitolo». Già perché al Milan sono pronti anche ad accogliere Ibra 3, la versione inedita, magari di mental coach.

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