Presidente, con una prova a cronometro oggi scatta l'edizione numero 101 del Giro. Partenza da Gerusalemme, arrivo tra tre settimane a Roma: la corsa rosa va a scrivere una pagina di sport di assoluto fascino e densa di significati.
«Gerusalemme e Roma: un ponte dalle grandi opportunità, verso la pace e la fratellanza. Un viaggio attraverso lo sport e la cultura. La spiritualità e l'accoglienza. Direi un viaggio verso l'aggregazione, perché il ciclismo è sport che unisce, e porta festa in un Paese fatto di paesi. Come ebbe a scrivere un fuoriclasse della penna come Indro Montanelli, che la corsa rosa seguì nelle edizioni del '47 e del '48, al Giro non c'è orario, ogni giorno è domenica».
Dice che il ciclismo unisce: vero, ma non verissimo. Coppi e Bartali, Moser e Saronni, l'Italia l'hanno anche spaccata in due.
«Il ciclismo, da sempre, ha unito. Ha dato forza e identità a un intero Paese. Dopo la Guerra, la bicicletta è stata simbolo di ricostruzione e libertà. E quei due, Coppi e Bartali, hanno trasmesso orgoglio nazionale, speranza e voglia di riscatto. Gran parte degli italiani ha riposto le proprie speranze di rinascita e rivincita sulle spalle di questi due sublimi simboli dell'Italia del dopoguerra. Era l'Italia della ricostruzione e della Costituzione: l'Italia repubblicana. Poi la loro grandezza, la loro forza è anche sfociata in una rivalità spesso alimentata dai media: loro due si sono sempre profondamente rispettati».
Lei inizialmente era bartaliano.
«Esattamente. Ero un bimbetto di cinque anni, e conoscevo solo il suo nome: Bartali. I ragazzini erano quasi tutti per Gino e a noi bimbi più piccoli non restava altro da fare che emulare i più grandicelli, per sentirci alla loro altezza. A Tombolo, un paesotto di tremila e cinquecento anime disperso nella campagna padovana, mi divertivo a giocare con i miei amici a simulare gare di ciclismo lungo il greto dei torrenti. Usavamo dei piccoli legnetti, sui quali scrivevamo i nomi dei corridori più in voga: Bartali su tutti. Poi un bel giorno, sento nominare il nome di Fausto Coppi. Ma chi è? In casa mia sento parlare solo e soltanto di Bartali. Ad eccezione di mio papà, Alberto, Coppiano di ferro, al quale vado a chiedere lumi. E da quel momento mi si apre un mondo. La figura di Coppi mi affascina e mi conquista: è una vera folgorazione».
Le rivalità nel ciclismo ci sono sempre state
«Nel ciclismo c'è una logica, per non dire una metrica accettata e condivisa da tutti i veri tifosi che come tali vogliono essere considerati. È il gioco delle fazioni, delle appartenenze. La prima grande rivalità ciclistica è segnata dalla sfida tra Costante Girardengo e Tano Belloni. Tra il primo campionissimo - con la c rigorosamente minuscola che la storia del ciclismo ricordi e l'eterno secondo. Poi, dopo di loro, ecco arrivare Alfredo Binda a rompere le uova nel paniere all'ormai vecchio e sazio campionissimo. La vita è una ruota che gira e il ciclismo ne è il paradigma perfetto. Chi tifa per Girardengo non può che aspettare l'angelo vendicatore, che in questo caso ha i lineamenti di Guerra, che poi a sua volta sarà messo in crisi da Bartali e anche in questo caso ecco i tifosi di Girardengo e Guerra, spostarsi su un altro astro nascente del nostro ciclismo: Fausto Coppi. Insomma: Girardengo Guerra Coppi da una parte; Belloni Binda Bartali dall'altra. Tutto molto semplice e lineare. Tutto molto chiaro. Non si può infrangere questa logica».
Chi vincerà questo Giro?
«Spero Fabio Aru. Sono per gli italiani, anche se Froome e Dumoulin hanno i favori del pronostico».
Pronto a seguire il Giro anche quest'anno con una rubrica su Il Giornale?
«Non solo pronto, ma felice. Per me il Giro è davvero una festa. Una festa che vorrei condividere con tutti voi».
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