Sochi Parliamo di donne. Donne che vincono, donne che perdono, donne che sperano, donne che sognano, donne che piangono, donne che ridono. Parliamo allora subito di Julia Mancuso, l'americana che ieri ha conquistato il bronzo nella supercombinata sorprendendo tutti, soprattutto se stessa. Julia sa vincere e perdere, piangere e ridere, sa soprattutto sperare e sognare. E' una donna, una bella donna, che ai grandi eventi non tradisce mai. Se il suo sport fosse lo sci di fondo o la maratona, sport di resistenza insomma, farebbe venire non pochi dubbi: possibile che vada forte solo nelle gare che contano? Invece no, lei vince medaglie nello sci alpino, dove il fisico serve, ma non è tutto, e dove la tecnica, ma soprattutto la testa, possono fare la differenza (continuiamo a illuderci che sia così). «Non so nemmeno io perché, ma l'Olimpiade per me è come una resurrezione. Anche se ci arrivo dopo un periodo difficile mi gaso, mi carico, mi metto pressione e il bello è che riesco a sopportarla!». Col bronzo di ieri l'americana ha fatto piangere Tina Maze, quarta, una donna che al contrario dell'americana fa della sofferenza la sua ragione di vita. Avrebbe tutto per essere serena e felice, ma no, lei riesce a vivere male, perché chiede sempre troppo a sé stessa.
A ridere, ma anche a piangere, è riuscita ieri Maria Hoefl-Riesch, la portabandiera della Germania che ha vinto il suo terzo oro olimpico (a Vancouver dominò slalom e supercombinata) commuovendosi come mai, forse al pensiero che potrebbe essere l'ultimo, visto che a fine stagione si ritirerà per fare la moglie e, spera, la madre a tempo pieno. «Ho sicuramente vissuto uno dei momenti più emozionanti della mia carriera, perché vincere quando tutti si aspettano che tu lo faccia è la cosa più difficile». Proprio così.
Ne sa qualcosa Arianna Fontana, l'azzurra dello short track che ieri ha iniziato la sua terza Olimpiade (e ha solo 23 anni!) qualificandosi per le finali dei 500 metri (domani) e della staffetta (martedì 18). Ary in queste due gare ha già vinto due bronzi olimpici, in staffetta a Torino e nell'individuale a Vancouver. Questa potrebbe essere la sua ultima occasione per fare meglio. Lo short track è disciplina dura e avara, richiede allenamenti massacranti, tanta fortuna in gara quando i contatti con gli avversari e le cadute sono in agguato ad ogni centimetro, e in cambio regala la ribalta solo una volta ogni quattro anni e ben poche soddisfazioni a livello economico. Arianna sembra molto più matura della sua età, ha in programma le nozze con il collega Anthony Lobello, (a Torino gareggiò per gli Stati Uniti, qui sarà nella staffetta azzurra) e non ha ancora deciso cosa farà in futuro: «Molto dipenderà da cosa succede qui». Traduzione: un oro potrebbe significare il ritiro in bellezza, una delusione la motivazione per riprovarci fra quattro anni, «perché nel nostro sport ogni ragionamento va fatto sul quadriennio olimpico, le altre gare contano poco».
Arianna dunque spera nell'oro e sogna il ritiro, mentre altre donne azzurre sognano e sperano, pur con meno certezze di lei. Sono le saltatrici, che domani sera faranno il loro storico esordio olimpico. Evelyn Insam, che proprio ieri ha festeggiato il ventesimo compleanno, e Elena Runggaldier, di quattro anni più "vecchia" ma con già un argento mondiale al collo (nel 2011) sono le nostre speranze. Il podio sarebbe un'impresa visto com'è andata finora la stagione, con piazzamenti fra il 10° e il 20° posto in coppa del mondo e solo un acuto di Evelyn, settima in una gara in Giappone. Più vicine al podio olimpico sembrano essere Karin Oberhofer e Dorothea Wierer, che hanno scelto l'affascinante biathlon e che nella gara sprint sui 7,5 km di domenica sono finite quarta e sesta.
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