L'atletica ora ci riprova. Ma chi ridarà gli ori alle gazzelle derubate?

Per Semenya & C. testosterone controllato per 6 mesi o niente gare. Beffa per Bishop e Wilson...

L'atletica ora ci riprova. Ma chi ridarà gli ori alle gazzelle derubate?

In questo momento ci sono due grandi delusioni, due immense ingiustizie che si staranno domandando «ma perché diavolo doveva succedere proprio a noi?». Melissa Bishop è canadese, è bionda, è esile, femminile, gazzella e nell'agosto del 2016 ha perso l'oro olimpico perché, incolpevole, anni prima, sciocchina, decise di innamorarsi degli 800 piani senza sapere che un giorno avrebbe gareggiato contro quasi uomini o donne molto simili a uomini o donne soprattutto forti come uomini. Ajeé Wilson invece è americana, è di colore, ha i capelli raccolti, è minuta, femminile, gazzella e nell'agosto del 2017 ha perso l'oro ai mondiali di Londra perché, incolpevole e sciocchina anche lei, tempo addietro decise di correre gli 800 senza sapere che un giorno avrebbe combattuto contro donne macisti più simili a uomini.

Due medaglie pesanti mai assegnate, due ferite nell'animo mai rimarginate e che la decisione di ieri non fa altro che rendere ancora più laceranti. Perché c'era la legge, la norma, il codicillo giusto e sacrosanto per tutelare loro e chi come loro, ma era stato abolito per sentenza. È questo pensiero, questo dolore il primo effetto della decisione finalmente presa - ma sarebbe meglio dire ripresa - dalla Iaaf dopo aver raccolto ulteriori prove scientifiche per impedire che donne con livelli di testosterone da uomini gareggino con le gazzelle dei 400, 800, 1500 e miglio. «Vogliamo che le atlete siano incentivate al massimo impegno e sacrificio richiesti per eccellere nello sport» ha commentato la decisione il n°1 della Federatletica mondiale, Sebastian Coe. «Per cui come federazione abbiamo l'obbligo di garantire parità di condizioni per tutti gli atleti... come negli altri sport qui ci sono due categorie: uomini e donne. Questo significa che dobbiamo essere chiari sui criteri di entrambe. Le prove in nostro possesso dimostrano che alti livelli di testosterone prodotto naturalmente o assunto artificialmente offrono significativi vantaggi alla atlete donne». Da qui la decisione resa nota ieri e operativa dal 1 novembre 2018 di non consentire alle atlete iperandrogene di competere a meno che, nei sei mesi precedenti, non abbiamo ridotto entro la norma i livelli di testosterone. Un passo che non restituisce medaglie a Melissa e Ajeé ma che stavolta si spera definitivo, visto che la Iaaf era già intervenuta imponendo alla atlete «sospette» trattamenti per abbassare i livelli. Nel 2015 il tribunale arbitrale sportivo aveva però annullato la norma.

La più celebre fra queste è la sudafricana Caster Semenya (personale di 1'55"16) che ieri in un tweet si è limitata a commentare «com'è bello rimanere in silenzio mentre qualcuno si aspetta che tu sia arrabbiata». Approccio low profile, dunque, simile a quello che lei e le altre atlete iperandrogene, vedi la mezzofondista del Burundi Francine Niyonsaba e la keniana Margaret Wambui (argento e bronzo a Rio) tengono in gara sempre attente a vincere senza esagerare nei distacchi per non attirare troppe attenzioni.

A Rio l'oro andò alla Semenya davanti alla Niyonsaba, alla Wambui e a Melissa Bishop; a Londra idem per oro e argento ma Ajeé Wilson scavalcò la keniana Wambui per il bronzo e Melissa arrivò quinta. Le cronache dicono questo. Il cuore dice oro. Per due esili gazzelle.

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