L'elegante nomade del calcio, gentile anche davanti al male

Vincente, educato, affascinante. Ha stregato le due anime di Roma, conquistando coppe e lo storico scudetto laziale

L'elegante nomade del calcio, gentile anche davanti al male
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Stiamo sorridendo, come avevi chiesto. Nessun dispiacere, la Tua vita, Svennis, è stata affollata di cose, le hai affrontate, frequentate, vissute, sofferte, superate con l'eleganza uguale, nelle vittorie e nelle sconfitte. Così è stato in quest'ultimo minuto di quest'ultima partita, accettando il verdetto senza alzare la voce ma regalando il sorriso di chi ha goduto di una esistenza bella anche se infine feroce e malvagia, al termine di settantasei anni, veloci, fulminei. Anche il commiato scritto da Linda e Johan, i figli, rappresenta il riassunto e la didascalia di un uomo e di un professionista diverso dagli altri abitanti di un pianeta, quello del football, ormai avvolto da un tulle nebbioso e tossico: «Nostro padre Sven-Goran Eriksson si è addormentato serenamente nella sua casa a Bjorkefors, appena fuori Sunne, questa mattina. Ha combattuto coraggiosamente la malattia ma è arrivata l'ora finale. Papà ci ha parlato all'inizio di quest'anno della sua grave malattia e ha ricevuto una risposta straordinaria da amici e tifosi di calcio di tutta Europa. È stato invitato in diverse squadre di calcio in Inghilterra, Italia, Portogallo e Svezia. Hanno condiviso il loro amore per il calcio e per papà. È stato indimenticabile sia per lui che per noi. Ha espresso il suo apprezzamento e la sua gioia e ha affermato che parole così belle di solito vengono pronunciate solo quando qualcuno è morto. Ci auguriamo che ricorderete Svennis e la persona buona e positiva che è sempre stata, sia in pubblico che a casa con noi».

La sua storia si è conclusa conoscendo, lui e noi tutti, la fine, disarmati e orgogliosi di avere viaggiato assieme, in giro per l'Italia, Roma, Lazio, Fiorentina, Sampdoria, e per l'Europa, Svezia, Portogallo, Inghilterra, il diario segnala terre lontanissime, alcune improbabili per il football, Filippine, Costa d'Avorio, Arabia, altre, Messico e Cina alla ricerca di glorie perdute o sconosciute, era un nomade, Svennis, ma non un mercenario all'inseguimento di monete verdi che pure ha accumulato. I tabloid inglesi lo hanno marcato stretto sulla vivace vita privata, donne fascinose, l'inquietante italiana Nancy Dall'Oglio, la svedese Ulrika Jonsson, la segretaria della federcalcio inglese Faria Alam, gossip puro tra racconti ufficiali e sussurri di spogliatoio, fotografie in siti improbabili, fughe notturne e diurne, mostrando un volto diverso, imprevisto, per alcuni addirittura sordido, di Eriksson, compresa la trappola tesagli da un falso sceicco, Mazher Mahmood, il quale, munito di registratore però nascosto, gli suggerì di firmare per l'Aston Villa dove sarebbe stato raggiunto da David Beckham. Ma il finto sceicco, poi finito in galera, registrò anche alcuni giudizi pesanti dello svedese su un paio di nazionali inglesi, Rio Ferdinand pigro, Rooney irascibile, la confessione, una caduta infantile, gli costò la reputazione e il contratto. Proprio Beckham gli è stato vicino in queste ultime settimane, ha organizzato un pranzo a sorpresa nella dimora di Bjorkefors, ha ingaggiato uno chef stellato, ha portato sei bottiglie di vino prezioso, di annate storiche, 1948, anno di nascita di Sven e le altre cinque dedicate alle vittorie europee. Hanno mangiato carne d'alce e aringhe, hanno parlato di football e di vita. Eriksson è riuscito a sorridere sfogliando le fotografie di un tempo andato ma che resta fortissimo negli almanacchi di mezza Europa calcistica. Queste sono state la sua diversità e la sua forza esclusive, una fibra di acciaio però improvvisamente diventata fragile eppure non spezzata dalla compassione, dalla sofferenza esibita, dalla rabbia cattiva. Anzi. La coscienza di avere vissuto come sicuramente non aveva nemmeno sognato nella sua casa nella contea di Varmland, il dolce e straziante passo d'addio nelle altre dimore della sua carriera, nel calore di lacrime, sciarpe, striscioni, applausi e cori, come se si trovasse alla vigilia di un'altra partita.

Un documentario a memoria finale, il segno definitivo di un uomo di football che il football non potrà dimenticare, senza però urlare la propria tristezza. Anche perché, come hanno scritto Linda e Joan, Sven-Goran Eriksson si è soltanto addormentato. Il silenzio gli è dovuto. E, assieme, il sorriso, l'ultimo.

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