Lippi contestato come nel 2006 Un buon segno per gli azzurri...

Problemi per via del figlio procuratore proprio come 10 anni fa E l'Italia vinse il titolo. Ma la vicenda è un autogol di Tavecchio

Marcello Lippi
Marcello Lippi

«Bazzecole, quisquilie e pinzillacchere», così Totò avrebbe commentato il presunto conflitto di interessi che impedirebbe a Marcello Lippi di essere nominato coordinatore tecnico delle squadre nazionali per la presunta incompatibilità con l'attività del figlio Davide, di professione procuratore. Delle due l'una, stando così le cose: o il primo lascia l'incarico prima ancora di averlo ottenuto oppure il secondo passa di mano i contratti con i giocatori italiani. Mai come in questo caso, rovesciando un vecchio detto popolare, le colpe (ma quali?) dei figli ricadrebbero sui padri. Di sicuro siamo di fronte a un autogol clamoroso di Tavecchio. Il presidente della Figc, quando ha deciso di riportare in Federazione l'ex ct della nazionale italiana, s'è dimenticato di aver emanato nell'aprile 2015 una norma che vieta incarichi federali a chi ha rapporti con procuratori. In questo caso di stretta parentela. Articolo 3, comma 2 del nuovo regolamento. Di qui la rincorsa ai legali di turno per risolvere in fretta la questione senza farla arrivare all'attenzione della Corte federale, famosa per i suoi tempi biblici. L'appiglio potrebbe essere dettato dalla frase che parla di «potenziali situazioni di incompatibilità». E qui, di situazioni incompatibili, non ne esistono. Nei compiti del direttore tecnico non rientra la scelta dei giocatori, ma la regia dell'attività azzurra per far sì che i ct delle squadre di categoria parlino la stessa lingua, che alla guida della nazionale maggiore arrivi un allenatore di provenienza federale e che i settori giovanili seguano un indirizzo simile a quello della Germania.

In realtà la questione va posta su altri termini perché scaturisce da un codicillo che non sta in piedi né sul piano etico né su quello giuridico. È come se la Figc, varando quella norma a garanzia di chissà cosa, desse del disonesto a prescindere al Lippi di turno e gli vietasse di lavorare. Ma scherziamo? In sede comunitaria già se la ridono. Cosa dovremmo dire allora di quei dirigenti e di quegli allenatori che fanno le squadre legandosi mani e piedi a una oligarchia di procuratori? Che siano imparentati o meno, conta niente. Invece di cercare scappatoie ridicole, il consiglio federale farebbe bene a rivedere la norma prendendo spunto da questa vicenda. O Lippi è persona degna di fiducia o non lo è, indipendentemente dalla professione del figlio. L'ex ct non è nuovo a questo genere di cose: alla vigilia del Mondiale 2006, finito in gloria, l'allora premier Prodi fece pressioni per rimuoverlo dalla panchina azzurra. E sapete perché? Perché il figlio, sempre lui, lavorava nella Gea. Poi le cose andarono al meglio. I politici salirono sul carro dei vincitori. E nessuno osò alzare un dito contro il ct campione del mondo. Qualcosa di simile ha vissuto Conte, finito nelle maglie d'un procedimento sul calcioscommesse e poi prosciolto. Oggi come allora l'Italia va incontro all'ignoto senza particolari consensi: in Germania ne uscì campione, in Francia si spera arrivi alle semifinali. Ma il gruppo di Euro 2016, ne siamo tutti coscienti, non vale quello del Mondiale 2006.

Di paradosso in paradosso va ricordato che Tavecchio ha affidato la panchina azzurra a Ventura proprio su indicazione di Lippi. Nel volgere di pochi giorni la situazione è cambiata profondamente.

E l'ex ct, già stanco del nuovo scenario, è finito in un tritacarne dai contorni ancora non delineati. Si ha infatti la sensazione che, al di là del ridicolo conflitto d'interessi, ci sia qualcuno che non lo voglia in cabina di regia e qualcun altro che ambisca al suo posto. Presto la verità.

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