Ralf Rangnick è un tipo tutto chiacchiere e condizioni. Ieri ne ha poste altre parlando ancora una volta del suo futuro al Milan: «Per convincermi ad accettare una sfida del genere devono combaciare tantissime componenti». Mal gliene incolse. Perché a stretto giro d'agenzia, Paolo Maldini, rimasto finora in dignitoso silenzio sull'argomento, l'ha zittito impartendogli una lezione di comportamento. «Il tecnico tedesco - questo l'incipit del dirigente rossonero - parlando di un ruolo con pieni poteri gestionali sia dell'area sportiva che di quella tecnica, invade delle zone nelle quali lavorano dei professionisti con regolare contratto».
Senza citarlo mai, il giudizio è un indiretto omaggio del lavoro di Stefano Pioli, l'allenatore messo sulla graticola dalle esternazioni del tedesco, chiamato a concludere una stagione tra le più complicate della storia calcistica italiana. Il passaggio successivo è una stoccata vera e proprio: «Avrei dunque un consiglio per lui: prima di imparare l'italiano dovrebbe dare una ripassata ai concetti generali del rispetto per colleghi che, malgrado le tante difficoltà del momento, stanno cercando di finire la stagione in modo molto professionale anteponendo il bene del Milan al proprio orgoglio». È questa la frase simbolo, anche questa perché documenta lo sforzo dell'interessato di piegare la tentazione di abbandonare Gazidis e la squadra al loro destino, pur di rendere l'ultimo servigio alla patria calcistica.
Il finale dell'intemerata di Paolo Maldini è uno sgambetto al fondo Elliott e a Gazidis, coloro che hanno scelto e incontrato Rangnick, oltre che un assist al sodale Boban uscito allo scoperto nelle settimane pre-virus impugnando la lettera di licenziamento per giusta causa. Si è chiesto Maldini in astuta forma interrogativa: «Se io non ho mai parlato con lui e la proprietà non mi ha mai detto nulla in proposito, non capisco su quali basi vertano le sue dichiarazioni». Come dire: chi l'ha incontrato, chi gli ha proposto il Milan del futuro scavalcando il mio ruolo?
Nei giorni in cui sta riprendendo, faticosamente, la stagione, il Milan non aveva certo bisogno di quest'altra tempesta mediatica da cui esce a pezzi, ancora una volta, la sagoma di Gazidis. Tutto si può fare nel calcio: si può anche decidere di cambiare, per la terza volta, il management sportivo e la guida tecnica del team ma l'operazione va eseguita con le opportune accortezze. E se il prescelto si dimostra un disinvolto chiacchierone, meglio cambiare indirizzo. L'intervento di Maldini è il passo d'addio che procura altre amarezze presso il popolo dei tifosi. Infatti da Matteo Salvini è arrivata un'altra martellata. «Per il Milan vorrei un presidente con nome e cognome preferibilmente italiano; con un fondo di speculazione finanziaria la poesia è finita».
Come si capisce al volo, la questione è la seconda e non la prima (Paolo Scaroni, attuale presidente, è italianissimo): complice anche il covid-19 non sarà così facile trovare un altro Silvio Berlusconi. Sarà invece più facile per Zlatan Ibrahimovic allenarsi a Milanello: lo svedese è rientrato e trascorrerà la quarantena in isolamento al centro sportivo rossonero.
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