Martellini, signore della tv campione del mondo di stile

Arrivò al calcio per caso, poi sostituì Carosio per colpa di un etiope. Il trionfo di Madrid con il suo tifo elegante

Martellini, signore della tv campione del mondo di stile

«Un minuto mas, uno mas». Nella cuffia l'urlo del Barnabeu era stato improvvisamente interrotto dalla voce del regista spagnolo che invitava Nando a chiudere il collegamento. L'Italia era campione del mondo, campione del mondo, campione del mondo e Nando Martellini aveva accartocciato le pagine già scritte, la scaletta riservata alla vincitrice o alla sconfitta, come era abituato a fare. Ormai su di lui aveva preso il sopravvento il tifoso, il patriota, l'italiano. Non urlò, non strillò, non si fece trascinare dalla caciara faziosa che ormai occupa qualunque microfono. Accentuò il tono della sua voce elegante, stentorea in alcuni casi, tipica di un periodo in cui il giornalista, radiofonico e televisivo, usava il cervello e quindi la lingua e, rarissimamente se non mai, la pancia.

Si fa presto a dire che Nando Martellini fu un signore. Bisogna spiegarlo ai contemporanei di fragile memoria o ai docenti di una grammatica ridicola e ingenua. Martellini tifava Perugia, perché là aveva fatto gli studi superiori per portarlo poi alla laurea in Scienze Politiche, mentre la famiglia lo sognava docente di Agraria. Ma non certo per questa sua dimora umbra Nando sventolò bandiere e gagliardetti per fare riconoscere la propria passione. Era uomo colto, di famiglia rispettosa, suo padre Ernesto era lo chaffeur di Augusto principe Barberini di Palestrina, va da sé che l'educazione, l'ossequio, la disciplina, fossero la colazione, il pranzo e la cena di ogni giornata per mamma Sofa, Sofonisba, l'Ernesto e Nando che cresceva senza immaginare il giuoco del football. A quindici anni, con una pagella piena di voti alti, ottenne il regalo di partire per Berlino dove i Giochi dell'Olimpiade gli avrebbero fatto scoprire il futuro. Ma a sua insaputa. Infatti sognava di fare il diplomatico, quegli erano gli anni in cui il viaggio, il treno, l'avventura, erano i compagni di qualunque giovane. Si ritrovò, per intuito, a raccontare la storia e le sofferenze dei nostri prigionieri sul canale di Suez, capì che la scrittura, la narrazione potevano rappresentare un buon argomento di esistenza e di lavoro.

Fu per caso che passò dalla cronaca allo sport, accadde nel dopoguerra, l'Eiar trasmetteva le radiocronache delle partite di serie A, non tutte ma alcuni momenti cosiddetti salienti. Martellini venne inviato allo stadio della Vittoria, si giocava Bari-Napoli, mio padre era il suo assistente tecnico di cabina. Venne poi la Rai, al posto dell'Ente Italiano Audizione Radiofoniche, venne la televisione, Martellini proseguì a raccontare storie di cronache, il papa e i funerali di Einaudi, ma assieme un cross di Carapellese e una parata di Buffon Lorenzo (fu sua la radiocronaca di Inghilterra-Italia, amichevole del '59 finita 2 a 2).

Le voci di popolo inscenarono la bufala, detta oggi fake news, che Nando prese il posto del razzista Carosio al quale sarebbe scappato di bocca un «negraccio» durante Italia-Israele del mondiale '70. Lo stesso Martellini smentì ufficialmente l'accaduto e così lo raccontò. «Io ero in panchina, come seconda eventuale voce. Durante la partita contro Israele l'arbitro annullò, su segnalazione dell'assistente etiope, due gol azzurri, il primo di Domenghini, in evidente off side, il secondo, molto dubbio, di Riva. A questo punto Nicolò esclamò: Ma che cosa vuole da noi questo etiope?. L'ambasciata di Roma protestò con la Farnesina che immediatamente trasmise il caso ai capi della Rai in pieno panico. Un dirigente telefonò a Città del Messico inponendo a Carosio di rientrare immediatamente a Roma, ci opponemmo tutti uniti: se parte Nicolò rientriamo anche noi. Il caso venne risolto all'italiana, toccò a me prendere il posto di Carosio per la semifinale storica Italia-Germania 4 a 3».

Fu per un etiope, dunque, che Nando Martellini prese il volo con la squadra azzurra, portandola a quel mondiale bellissimo, attraverso mille altri incontri e racconti, qualche gag da repertorio all'Europeo del Sessantotto («si giocheranno ora due quarti d'ora di quindici minuti l'uno») mai un errore grossolano, mai una macchia sulla

giacca, uno sgarbo, amato e rispettato dagli sportivi, dagli atleti, dagli ascoltatori, dai colleghi suoi, da Ameri a Ciotti, a De Zan, e non certo per la stazza possente con la quale Nando si imponeva su tutti.

(19. Continua)

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