Auguri Ninna, oggi sono 60... ma si può dire?
«Certo, anche perché non me li sento. Continuo a fare quello che ho sempre fatto con lo stesso spirito. Seguo lo sci e i miei figli: Federica che gareggia e Davide che è nel suo staff. Non posso pretendere di più».
Ma come ti è venuto in mente di passare dagli sci alla macchina per scrivere?
«A me è sempre piaciuto da matti leggere e scrivere. Una passione ereditata addirittura dai nonni. E inoltre io da quando avevo 13 anni ho sempre scritto un diario e, avendo la passione per lo sport in genere, mi creavo degli album. Così, quando ho smesso di sciare, ho pensato di bussare al Giornale, che era il quotidiano di famiglia, per chiedere di collaborare. Mi ricordo che il capo dello Sport era Pierluigi Fadda e mi presentai: sono Maria Rosa Quario, mi piacerebbe scrivere per voi... Avevo già scritto qualche articolo per la rivista Sci e il direttore mi aveva incoraggiato».
Ma è più difficile sciare o raccontare lo sci?
«Sciare non è difficile, ma fare i risultati sì. Mentre per scrivere, anche se un giorno non sei in vena, non succede niente. Però io voglio scrivere come sciavo, quindi mi alleno continuamente, mi documento».
Il tuo articolo più difficile?
«Non quelli su Federica, perché se devo scriverne vuol dire che ha fatto qualcosa di importante. La cosa più difficile è dover celebrare qualcuno che non ti sta simpatico».
E invece la gara più difficile?
«Il Mondiale dell'82: me l'hanno fatto rivedere di recente e sono stata ancora male. Eravamo a Schladming, con un sacco di gente, ed ero in testa dopo la prima manche. Tra l'altro arrivavo dal quarto posto dei Giochi dell'80, giù dal podio per soli 3 centesimi, e quindi era l'occasione per la grande rivincita. Al cancelletto ho cominciato a pensare che quella gara avrebbe potuto cambiarmi la vita e la testa ha paralizzato le gambe. Sono finita quinta e ho pianto tutto il giorno, con l'aggiunta della beffa di vedere la mia grande rivale Daniela Zini vincere il bronzo».
A proposito: c'era più rivalità tra la Quario e la Zini o tra la Brignone e la Goggia?
«Difficile dirlo. Ma almeno noi non fingevamo, eravamo schiette, invece Fede e Sofia sono più diplomatiche».
Prima Federica era la figlia della Quario, adesso sei tu la mamma della Brignone.
«Sì, il rapporto si è ribaltato. Direi già nel 2011, quando Fede ha vinto l'argento ai Mondiali. Però io ho sempre un record: sono l'azzurra che ha vinto più slalom, mentre lei in questa specialità deve ancora fare il primo podio».
Già, se lo sci in famiglia è una questione genetica, altrettanto non si può dire per la specialità.
«Ma lo sci è anche cambiato, probabilmente oggi anch'io sarei una gigantista. Io ero una sciatrice completamente diversa da Fede, più leggerezza e aggressività, lei è molto più morbida. E io nella velocità avevo proprio paura, lei no».
Come ha fatto una milanese al cento per cento a diventare una campionessa di sci?
«Mio zio è l'ingegnere che ha progettato gli impianti di Courmayeur agli inizi degli anni Sessanta e viveva là. Così, andando a trovarlo, mia mamma si innamorò del posto e i miei decisero di prendere una casa. Così iniziammo tutti a sciare, finché durante una vacanza pasquale mio fratello Federico si ruppe una gamba. Così fummo costretti a restare a Courmayeur per un mese e io ebbi modo di continuare a prendere lezioni. Fu la svolta: a 13 anni ero già nella nazionale giovanile».
Nazionale che poi vorrà dire valanga rosa. Ma se voi eravate una valanga che cosa dovremmo dire della squadra di oggi?
«Ci chiamarono così nel '78, in una gara di World series, arrivammo io prima, la Giordani seconda e soprattutto in 7 azzurre tra le prime dieci. Ma certo, rispetto alle ragazze di oggi a livello di vittorie facciamo ridere: io, Claudia (Giordani, ndr) e Daniela (Zini, ndr) messe assieme non facciamo nemmeno le vittorie di Federica. Però era un altro sci: avevamo uno skiman in otto, oggi ne hanno uno a testa».
A proposito di Claudia Giordani: è diventata vicepresidente del Coni.
«Sono contentissima. Per me è stata un esempio incredibile. Credo che sia la persona giusta al posto giusto, anche in vista delle Olimpiadi italiane: è una che mette in campo tutto quello che ha, se la lasciano lavorare...».
Cosa ti aspetti da Milano-Cortina '26?
«Spero di seguire anche quella Olimpiade, ne ho già fatte due da atleta e 9 da giornalista... Spero che non sia la solita cosa all'italiana con tanti sprechi tipo Italia '90».
Ma Federica ci sarà?
«No, spero di no. Avrà già 36 anni e la sua idea è quella di andare avanti al massimo fino ai Mondiali del '23».
Da ragazza avevi un idolo tra gli sciatori?
«Stenmark. Era una specie di dio. Che mi salutava e sorrideva...».
E avevi un idolo anche tra i giornalisti?
«Idoli no, mi piaceva molto Cristiano Gatti».
La tua gara indimenticabile?
«Quella vittoria in World series allo Stelvio, il mio primo successo a 17 anni».
E la gara indimenticabile tra quelle raccontate?
«La prima vittoria di Fede in coppa del mondo, in gigante a Soelden nel 2015».
Ma ti è mai capitato di discutere con un collega per un giudizio su Federica?
«Avrei voluto farlo con un collega della Tv, ma ho evitato».
Pensierino finale?
«Mi avete chiesto tante interviste per i compleanni dei grandi. Non pensavo di meritarne una io. Un onore».
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