Gli Agnelli e la Juventus: una storia unica di passione tramandata per cento anni fra scandali, vittorie e tragedie

Oggi, un secolo fa, Edoardo diventava presidente. Poi toccò a Gianni l'avvocato e Umberto il dottore, prima dei 9 scudetti di fila di Andrea. Adesso la nuova Era con John l'ingegnere e un cognome diverso

Gli Agnelli e la Juventus: una storia unica di passione tramandata per cento anni fra scandali, vittorie e tragedie

Il secolo di una squadra, la Juventus, vissuto come una famiglia, gli Agnelli, la stessa dal ventiquattro luglio del millenovecentoventitré, il football bianconero sotto un cognome solo, storia unica, esclusiva, irripetibile. Era un martedì epocale perché a Losanna venne firmato il trattato, l'ultimo, che poneva fine alle ostilità della Grande Guerra, il mondo cambiava e la piccola cronaca di Torino annotava un evento inimmaginabile. Era sera, quando il trentunenne Edoardo Agnelli, figlio di Giovanni, il fondatore della Fiat, venne eletto, per acclamazione, presidente della squadra di football Juventus: «Vi sono grato per avere accolto come un onore la mia presidenza, ma spero di non deludervi se vi confesso che non ho alcun intenzione di considerarla soltanto onorifica. Dobbiamo impegnarci a far bene ma ricordandoci che una cosa fatta bene può essere sempre fatta meglio» le prime parole di commento, impegno e progetto.

Edoardo Agnelli era entrato nel club tre anni prima, chiamato da Gino Olivetti fondatore della Confindustria. Prese inizio una avventura di successioni, quasi di eredità nobiliare, con uguale matrice, appena corretta nei cognomi, mai modificata nella sostanza, dunque dirigenti tutelati alle spalle, con la presenza costante di un membro della dinastia, assiduo frequentatore dello stadio e dei campi di allenamento, oltre che garante finanziario. Nacque lo stile Juventus, leggenda metropolitana ad usum di una letteratura spicciola e superficiale, perché, nel volgere degli anni, soltanto i due fratelli, Gianni e Umberto in ordine anagrafico, hanno saputo conservare quest'indole congenita, mai abbandonandosi a litigi condominiali, a polemiche verbali, a gesti e parole scurrili mentre attorno, anche all'interno della famiglia e del gruppo, ronzavano figure moleste e offensive.

Cento anni di Agnelli con la Juventus sono la didascalia anche di un Paese e di una città che era fabbrica e pallone, immigrazione e «qualcosa per la domenica» come disse appunto Gianni Agnelli per spiegare il fenomeno della squadra di football che accontentava i lavoratori della fabbrica di automobili (al maschile gli automobili come diceva il fondatore, poi senatore, Giovanni). Secolo di vittorie e di tragedie, di trionfi e di vergogne imprevedibili, lusso e caduta, potere e sudditanza. Proprio Edoardo, il presidente dei sei scudetti, cinque consecutivi, fu innovatore con la costruzione del campo di corso Marsiglia, il primo in cemento armato e portò alla conquista di cinque scudetti consecutivi. Edoardo Agnelli concluse in modo terribile la sua vita, colpito alla testa dall'ala del piccolo aereo che lo stava riportando nella sua dimora rivierasca. Poteva essere la fine di un'epoca bellissima, significò la continuazione di un impegno del fondatore Giovanni che aveva, per l'appunto, con la Juventus, fini sociali e politici oltre a quelli economici e sportivi. L'avventura alla guida del club aveva avuto, come predecessori, undici presidenti che nulla avevano a che fare con gli Agnelli e i Boselli (Clara moglie di Giovanni), furono Eugenio Canfari e suo fratello Enrico, Carlo Favale e Giacomo Parvopassu, lo svizzero Alfred Dick e Carlo Vittorio Varetti, Attilio Ubertalli e Giuseppe Hess, per passare addirittura ad un comitato presidenziale di guerra, composto da Gioacchino Armano, Fernando Nizza e Sandro Zambelli, quindi Corrado Corradino e Gino Olivetti, ultimo prima dell'inizio dell'era agnelliana che, dopo la scomparsa di Edoardo, passò di nuovo ad Enrico Craveri assieme a Giovanni Mazzonis, barone di titolo nobiliare e già calciatore bianconero. Lo stesso Mazzonis venne esautorato dal regime fascista per fare posto ad un altro nobile, però allineato, il conte Emilio de la Forest de Divonne che creò, per primo, gli abbonamenti per le partite casalinghe, inedito per le abitudini nostrane, subito imitato dagli altri club. Fu poi la volta dell'industriale piemontese, Piero Ettore Dusio il quale, fondatore della fabbrica automobilistica Cisitalia con vetture da corsa affidate allo stesso Dusio, a Taruffi, a Nuvolari, entrò nelle grazie di Gianni Agnelli al quale il nonno senatore, scomparso nel '45, aveva chiesto la promessa di occuparsi della Juventus. «Rientrato a Torino dopo la guerra, fui richiamato alla presidenza della Juventus. Rimasi presidente per sette anni, conquistando due scudetti e costruendo una squadra, ritengo, forte. La Juventus è la compagna della mia vita, soprattutto un'emozione. Accade quando vedo entrare quelle maglie in campo. Mi emoziono persino quando leggo su un giornale la lettera J in qualche titolo. Subito penso alla Juve», in verità Gianni Agnelli, all'età di quattordici anni, era già entrato nel consiglio del club. Lasciò il ruolo, dopo sette campionati, a un comitato provvisorio di nuovo con Enrico Craveri, Luigi Cravetto e Marcello Giustiniani, una sola stagione di reggenza difficile per la crisi della squadra e, quindi, l'ingresso del giovanissimo Umberto Agnelli, di anni venti. Secondo abitudini maramalde dell'Avvocato, la scelta di Vittore Catella come erede di Umberto, avvenne in modo curioso e farsesco. Catella, grande sportivo di rugby, basket e bob, dopo una gloriosa esperienza bellica coronata da numerosi riconoscimenti al merito, era diventato il capo collaudatore dei velivoli Fiat e comandante della flotta aerea della famiglia Agnelli. Durante un viaggio di lavoro, l'Avvocato domandò al comandante del volo: «So che Lei ama molto le operazioni rischiose...», Catella, al comando del jet privato, annuì con un cenno della testa e l'Avvocato lo provocò: «Dunque può fare il presidente della Juventus...». Catella dovette accettare l'impresa rischiosa.

Arrivò il grande tempo di Giampiero Boniperti, sempre per delega e tutela di Gianni Agnelli mentre Umberto scelse di restare in controluce per poi riprendere le manovre incaricando Vittorio Caissotti di Chiusano di guidare la ripresa della squadra e del club, affidandone la gestione ad un professionista di impresa e di finanza, Antonio Giraudo. La scomparsa dei due fratelli avvenne due anni prima dello scandalo dell'estate del duemila e sei. Fu il momento della svolta, John Elkann, erede in Fiat, consegnò la Juventus a Franzo Grande Stevens, Giovanni Cobolli Gigli e Jean Claude Blanc, una gestione senza memoria prima del ritorno di un Agnelli, Andrea, figlio di Umberto, cugino di secondo grado di John, tifoso passionale della squadra, coinvolto prima e travolto dopo, da un'avventura incorniciata da nove scudetti consecutivi ma da un epilogo che porta la nebbia in questa celebrazione centenaria.

La madre di Andrea, donna Allegra Caracciolo di Castagneto, prosegue la passione veemente per la squadra che fu del suo consorte Umberto, troppo spesso trascurato o dimenticato dalle narrazioni, pur avendo svolto un ruolo decisivo per la trasformazione della Juventus in un club imprenditoriale e non più in perdita. «Grazie a mio fratello e ai dirigenti da lui scelti, ho imparato che la Juventus non sia più una sofferenza contabile ma un affare», riassunse Gianni Agnelli. Dunque la successione, non soltanto onoraria ma la prosecuzione di un impegno storico, non più totalmente condiviso da tutti i membri della famiglia perché la Juventus è tornata a essere, in modo pesantissimo, un onere dinanzi al quale la tradizione non ha più lo stesso significato e i costi non sono più sopportabili anche per chi ha patrimoni solidi ma non intende ulteriormente bruciarli per una squadra smarrita, in un contesto internazionale contabilmente drogato. Ma c'è un storia da rispettare, un secolo che porta la stessa firma, un tempo contraddistinto, come nelle opere esposte in un museo, da didascalie emblematiche, Il Senatore, l'Avvocato, il Dottore, in breve gli Agnelli, timbri ormai scontati e oggi sostituiti da l'Ingegnere con un cognome diverso, Elkann pur sempre figlio di Margherita Agnelli, dunque pronipote del primo presidente, Edoardo. Dunque il cerchio non si chiude. C'è il desiderio, quasi nascosto, che tutto torni come allora, cento anni dopo: Villar Perosa, Torino, il Lingotto, la Juventus, gli Agnelli.

Memorie di un album bellissimo, con le ultime pagine però stracciate. Nessuno sa che cosa potrà accadere nel prossimo secolo bianconero. Ma resta la narrazione, attraverso immagini e parole, di chi ha potuto vivere e tramandare una storia unica, grandiosa, incredibile di eredità.

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