Zoe pesa come uno sportello bancomat, uno zaino pieno di libri, la statua d'oro di Kate Moss messa in mostra al British Museum, ma è alta tredici centimetri meno di Leo Messi, uno e sessantove per quarantanove chili, quanto basta per entrare nella botola di prua del timoniere, grande come un lavandino. Nell'otto con di Oxford lei è il «con». Detta i tempi, decide la strategia, scatena l'attacco. É il postiglione della diligenza, usa la voce come una frusta, un Napoleone senza tacchi a capo di una flotta micidiale fatta di solo otto uomini. Un gigante formato bonsai.
Zoe de Toledo ha ventitre anni, lo sguardo verde smeraldo e un fidanzato canottiere, Andrew, che somiglia a Keanu Reeves. La chiamano la Signorina Omicidi, perché è laureata in Psicologia e sta finendo il master in Criminologia e Diritto penale. Paura di certo non ne ha. Sarà lei infatti, una donna grande come una bambina, a guidare Oxford nel derby con Cambridge, unica ragazza in acqua in mezzo a diciassette uomini. In 183 anni le miss sono state solo quattordici. Sue Brown, la prima, guidò alla vittoria Oxford per due volte di fila, trentuno anni fa. Ma sette hanno vinto e sette hanno perso. La prossima Boat Race, la numero 158, è sabato 7 aprile, un quarto dopo le due di pomeriggio.
E c'è poco da scherzare. Perchè questa non è una regata, ma «la» regata.
Oxford contro Cambridge, Cambridge contro Oxford, la madre di tutte le rivalità, «The Boat Race» la corsa delle barelle, due scuole di pensiero contro, la favola infinita di una sfida che è rito, liturgia, come il the delle cinque o il cambio della guardia a Buckingharn Palace. Mezzo milione di tifosi sulle sponde del fiume, otto milioni di inglesi davanti alla tv, cento milioni di spettatori nel mondo, un milione di sterline per poco più di un quarto d'ora di gara.
Teatro Sua Maestà il Tamigi, all'inizio del diciannovesimo secolo, quando nasce questa storia, l'arteria di traffico più importante della capitale del Regno, una rete di canali che si dilata fino a Manchester e il nord: se per millesettecento anni un solo ponte unisce Londra al sud dell'Inghilterra, il London Bridge, e chi comanda sul Tamigi, quando ancora non è nata la ferrovia, comanda sul mondo, l'Inghilterra fino al 1832 ha sole due università: Oxford e Cambridge, il vertice di un sistema educativo riservato ai ceti che contano, la scuola privata che taglia fuori le masse e si fonda sui colleges, Eton, Westminster, Harrow, Winchester, due facce della stessa medaglia. Oxford conservatrice, tradizionalista e un po' bacchettona, Cambridge liberal, umanista e trasgressiva, la seconda figlia della prima, ma meno scapestrata.
Da Oxford sono usciti tutti i premier della Regina, dopo Churchill dalla Thatcher a Blair, ma Cambridge ha quasi il doppio dei premi Nobel, i principi della dinamica, la teoria dell'evoluzione e la struttura del Dna sono stati inventati qui. Oxford è Sparta, Cambridge è Atene, o forse il contrario, «Oxford for arts, Cambridge for science», sintetizza l'antico adagio, gemelli diversi in gara per assicurarsi i migliori studenti del mondo, per poi restituirli classe dirigente, ma anche i migliori canottieri, corteggiati con un'iscrizione «agevolata» valida due anni accademici.
Cambridge ha vinto ottanta volta compreso l'ultima, Oxford settantasei compresa la prima, un giovedì pomeriggio di tarda primavera dell'anno del Signore 1829. L'idea venne a Charles Wordsworth, studente di Oxford, e all'amico Charles Merivale, studente di Cambridge. Ci misero due anni a organizzarla, sul tratto di Tamigi che va da Hambledon Lock al ponte di Henley: adesso il via viene dato a Pulsney mentre Mortlake è diventato l'arrivo, quattro miglia e un quarto giuste, poco più di un quarto d'ora di gara, diciassette minuti e spiccioli quasi sempre. Chi perde, l'anno dopo, invia un plico sigillato alla rivale, come fosse un guanto di sfida, per chiedere la rivincita.
Ma all'inizio della favola l'acqua era l'inferno sulla terra, il Tamigi ingoiava tutti i rifiuti di una capitale ancora senza fognature e diffondeva spaventose epidemie di tifo e di colera. Oxford e Cambridge sono sopravvissuti alle burrasche, che nel 1912 rovesciarono entrambi gli scafi, fermati dalle guerre e basta, e in pari solo una volta quando leggenda vuole che il giudice, anno 1877, si fosse addormentato proprio sul più bello. Negli albi campioni olimpici come Matthew Pinsent, tre medaglie d'oro ai Giochi, fratelli coltelli come Raymond e Thomas Etheringhton-Smith, uno di qua e uno di là, e un solo italiano Roberto Blanda, vogatore per Oxford, quindici anni fa.
Barche che non sono solo tradizione, ma tecnologia, sistemi studiati per usi militari come il Global Positioning System, che diventano trasmettitori di informazioni in tempo reale su posizioni, velocità e ritmo di voga nemici. Strumentazioni usate nelle navette spaziali sovietiche rivedute e corrette per tirare a lucido i muscoli dei vogatori, darne un quadro completo delle condizioni fisiche, capaci di suggerire ore e tipo di allenamento necessario per garantire il massimo della condizione. Ma anche globalizzazione. Il «Light Blue» di Cambridge mette in acqua quasi settanta chili in più di barca e un equipaggio internazionale, tre americani, due australiani, un tedesco, un neozelandese e due inglesi, Mike Thorp e il vogatore Ed Bosson. I «Dark Blue» di Oxford, più conservatore, conta quattro inglesi, due americani, un tedesco e un olandese. E poi c'è Zoe, londinese, ma spagnola di origine come l'Invincibile Armada.
Che si carica con il rock dei Blackfire, una band di pellerossa navajo, lei che è Calamity Jane, e fa un pensierino al cinema. Ha già avuto una porticina in «The Social network» il film sulla vita di Mark Zuckerberg, l'inventore di facebook. Tanto per non sbagliare recitava se stessa. «Mi piace»...- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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