Se l'addio di Antonio appare ormai certo, la sua alternanza con Massimiliano è una suggestione più che un'indiscrezione, mentre il ritorno di Carlo convince tutti. Il valzer degli allenatori è cominciato, con largo anticipo. Sul palco dorato della Premier League, che negli ultimi otto anni ha incoronato quattro tecnici italiani.
L'ultimo - Antonio Conte - ha, però, le valigie pronte. Con Roman Abramovich non si sono mai amati. Così l'addio sarà liberatorio per entrambi. Troppo diversi caratterialmente. E troppo distanti nelle intenzioni: il patron sogna un Chelsea di giovani, possibilmente cresciuti nel vivaio; Conte pretende campioni affermati per competere con il Manchester City. Già la scorsa estate, frustrato dal mercato parsimonioso dei Blues, l'ex Ct dell'Italia avrebbe voluto dimettersi. Non lo aveva fatto per via della penale milionaria che avrebbe dovuto pagare. Il prossimo giugno, a prescindere, sarà addio.
Spalancando le porte ad una successione già consolidata. Perché allo Stamford Bridge ricordano bene cosa è successo nell'estate 2014 a Torino. In polemica per i mancati rinforzi, Conte sbatteva la porta, ritenendo irrimediabilmente chiuso il ciclo vincente. Al suo posto - non senza le perplessità del popolo bianconero - veniva ingaggiato Massimiliano Allegri, che nelle tre stagioni successive avrebbe vinto sette trofei. Rivelandosi, per di più, un interlocutore decisamente più aziendalista del predecessore. Entrato nel mondo juventino in punta dei piedi, Allegri non ha mai alzato la voce né lanciato ultimatum alla dirigenza. Un understatement molto apprezzato sotto la Mole, a maggior ragione sulle rive del Tamigi dove certi modi compassati sono nati.
Una nuova staffetta tra i due, questa volta Oltremanica, è un'ipotesi non semplice, ma praticabile. Se l'ostacolo principale resta il prolungamento che Max ha appena sottoscritto fino al 2020, è altresì vero che in caso di vittoria della Champions League - di fronte all'esplicita richiesta del tecnico - difficilmente Andrea Agnelli lo tratterrebbe. E la Premier è sempre stata la sfida più stimolante per Allegri, che di recente ha rivelato di studiare l'inglese.
Chi non ne ha bisogno, di perfezionare la lingua di Shakespeare, è Ancelotti. Anche lui in predicato di attraversare la Manica. Destinazione Londra nord. Dopo il biennio allo Stamford Bridge, l'Arsenal punta su du lui per tornare in alto. L'era Wenger volge ineluttabilmente verso la fine. Anche i vertici del club - dopo anni di contestazioni da parte dei tifosi - hanno infine perso fiducia nel tecnico alsaziano, ormai separato in casa. Dopo 21 stagioni di assidua presenza nell'élite continentale, per la prima volta lo scorso anno i Gunners hanno mancato la qualificazione alla Champions. E quest'anno - dopo sole cinque giornate - erano già virtualmente fuori dalla corsa per il vertice. Mentre i giocatori migliori (vedi Alexis Sanchez conteso dai club di Manchester) scappano, le delusioni si susseguono. Se gli va riconosciuto di aver ispirato il rinascimento dell'Arsenal, oggi Wenger è l'ultimo ostacolo al rinnovamento.
Che potrebbe avere il volto e i modi rassicuranti di Ancelotti. Conosce la cultura e il campionato inglese, ha un profilo internazionale per dare credibilità al progetto, ma soprattutto ha tanta voglia di tornare in Inghilterra. L'identikit perfetto per il ruolo.
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