Per avventurarci nel centesimo campionato italiano di basket che inizia stasera a Napoli, niente di meglio che andare da Dino Meneghin. Un giocatore che ha fatto storia, un uomo che è nella casa della gloria da Springfield a quella europea. Ha vinto tanto, perso il giusto, conosciuto la gioia e il tormento sul campo prima e poi come presidente federale. Sfidando il suo gattone Spotty, un trovatello super alimentato, che fa gli agguati alla barboncina Pippa, cerchiamo risposte ad una stagione di basket che comincia in rosso, con palazzetti aperti soltanto in parte, un anno iniziato con la vittoria in supercoppa della Virtus Bologna su Milano.
Caro Meneghin le sarebbe piaciuto essere in campo nel campionato del centenario?
«Mi sarei divertito, la stagione è lunghissima, ma prende slancio dall'estate bellissima della nazionale di basket. Non è vero che mancherà interesse, piuttosto è vero che se ci saranno ancora limitazioni per il pubblico molte società non ce la faranno economicamente. Io dico fate entrare quelli che hanno la carta verde di vaccinazione, soltanto quelli, ma non capisco perché ci si debba mettere alla calcolatrice per ammettere il 35%, perché non cifre tonde, perché non semplificare. Chi ha il pass entra, gli altri fuori».
Parla più l'ex presidente federale o l'appassionato che avrebbe voglia di andare a vedere belle partite?
«Diciamo che capisco benissimo la battaglia che stanno facendo Petrucci e Gandini. È fondamentale per gli sport al coperto, giusta l'alleanza con la pallavolo. Giusto cercare una soluzione rapida, rispettando sicurezza, salute, ma anche ridando fiducia a chi investe».
Dopo questo precampionato nascosto si è fatto un'idea delle forze in campo, diciamo che le uniche favorite sono ancora Milano e Virtus Bologna?
«È chiaro che Armani, come Virtus Segafredo sono quelle con maggiori mezzi, affidate a grandi allenatori, con panchine lunghissime. Io, però, sono rimasto impressionato, come tante volte, dalla Reyer Venezia. Mi piace il loro modo di gestire una società, di sviluppare il basket ad ogni livello, maschile e femminile, tanti ragazzi e ragazze sui loro campi».
La Virtus sembra più avanti di Milano, magari anche per merito di giocatori italiani ben valorizzati. Anche lei si è emozionato per uno come Pajola?
«Di sicuro, ma questo succede dalla qualificazione olimpica a Belgrado, quando abbiamo eliminato la Serbia e lui era in campo. Ho fatto un salto sulla poltrona, eh sì, adesso sono un pivot da poltrona, per quella vittoria, pensando a tutte le volte che ci siamo scontrati con i serbi, con la grande Jugoslavia. A noi è andata bene meno volte che a loro, ma è sempre bello battersi con i migliori e ve lo dice uno che dalla scuola slava ha imparato il massimo, partendo da Nikolic per finire a Tanjevic, gente tosta, belle teste e il grande Ivkovic che se ne è appena andato è stato un maestro. Ma gente brava ne abbiamo pure noi oltre a Messina e Scariolo, perché il mio caro compagno Meo Sacchetti (ieri la conferma che sarà ct fino a Euro 2022) ha fatto cose importanti con la Nazionale e speriamo che tutti lo aiutino a migliorare ancora, mi auguro che alle prossime convocazioni si trovi davvero in difficoltà nelle scelte, vorrebbe dire che il campionato ha regalato giocatori nuovi, perché non è possibile vedere pregi solo negli stranieri e difetti nei nostri. Certo che ne hanno, ma col lavoro si migliora, sentendo fiducia si cresce».
Anche a Meneghin fa un po' impressione riavvicinarsi allo sport normale dopo le bellezze di Tokyo, le medaglie, un'Italia che non sembra neppure quella che nega lo sport a scuola?
«Me le sono godute davvero, ho guardato tutto, mi sono emozionato spesso. Grande la 4x100, stupendo Tamberi, magnifico Jacobs e meravigliosi Palmisano e Stano, straordinari tutti quelli delle paraolimpiadi, non soltanto chi è andato sul podio. Bebe Vio è la vera ambasciatrice dei valori dello sport e della battaglia nella vita. Non è soltanto ammirazione, ma voglia di condividere. Non ho capito la diversità dei premi fra i grandi di Tokyo. In America stessi premi per tutti. Certo si poteva magari premiare in maniera diversa chi ha sponsor, bei contratti e gli altri che, invece, spesso finiscono dimenticati. Comunque grande Italia, nonostante tutto e con la scuola, è vero, si fa fatica a dialogare, speriamo ci riesca il mio amico Marzorati con la sua organizzazione, tanti campioni, che hanno bei progetti e voglia di andarli a cercare i talenti».
Non sembra che il livello dei giocatori sia cresciuto tanto.
«Si dice sempre. In verità tutto si evolve, dalle qualità fisiche, ai materiali, purtroppo non i palazzetti che in molti casi restano troppo vecchi e disagevoli. Aspettiamo la fine per giudicare una stagione che comincia in maschera, ma che deve finire in gloria. Guardare avanti, non indietro. Le mie Superga rosse che avevo indossato, rischiando la vita, al provino con Varese nemica di Milano che le indossava, adesso me le tirerebbero dietro se ne regalassi un paio».
A proposito di scarpette rosse, questa Milano che tossisce merita fiducia?
«Ci mancherebbe. Stagione da 80, 90 partite. Il tempo dirà la verità, nella speranza che chi investe tanto abbia buone risposte. Giorgio Armani lo merita. Nella speranza che in eurolega Milano arrivi anche alla finale. Messina è una garanzia, Armani e Dell'Orco la forza delle idee, i giocatori un gruppo che non deve mai dimenticare che non basta il vestito, sotto ci vuole qualcosa».
Ha fatto male anche a lei la retrocessione di Cantù?
«Quando società con grandi storie vanno in difficoltà si soffre davvero e si spera che possano tornare in fretta al vertice. Intanto è tornata in serie A Napoli grazie a Pino Sacripanti e ad un bel progetto societario.
Ora vorrei che anche Roma e magari Torino, Firenze, insomma le grandi città, diventassero protagoniste nel basket. Sarebbero vaccini veri contro l'indifferenza che spesso relega il basket nelle brevi, negli angoli dei palinsesti».
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