L'uomo, qui inteso come Stefano Pioli, allenatore del Milan giunto al giro di boa del suo primo mandato, è paziente, ben educato, grande incassatore ma non è di ferro. Perciò quando lo si interroga sul futuro suo e del club in materia di allenatore si esprime in modo elegante ma senza indulgere all'ipocrisia. Sa tutto, legge tutto e capisce tutto. Parte da lontano la sua risposta: «Ci giochiamo tutto in 40 giorni, abbiamo 12 partite per agguantare la Roma e l'Europa, poi chi dovrà decidere deciderà ma non si decide mai da soli. Deciderò anch'io». È la rivolta silenziosa alle voci, che non sono soltanto voci, che continuano a tenerlo sospeso, sul burrone dell'estate, tra presente scontato e futuro lontano da Milanello a causa dell'arrivo di Rangnick. E allora Pioli che non è di ferro sbotta per la prima volta. «Deciderò anch'io» ripete per far capire che non è detto che stia ad aspettare le scelte altrui. È pronto a farsi da parte, come fece già Gattuso ai tempi di Leonardo e Maldini, e a trovare subito un'altra panchina che l'accolga con maggiore fiducia e riconoscenza. Anche nel rispondere sul quesito più scivoloso, riferito alla presenza dell'ad Gazidis in queste settimane (motivo dello scontro tra Ibra e il manager sudafricano), Pioli non è il tipo da raccontare favole. Nessuna parola fuori posto ma la verità rispettata alla virgola. Eccola: «La presenza di Maldini e Massara non è mai mancata, Gazidis è sempre stato poco presente a Milanello perché ha altre mansioni poi la sua presenza ora non può che far piacere».
E infatti da qualche giorno, assecondando anche qualche consiglio amico, Gazidis si presenta a Milanello e ieri è partito col gruppo verso Lecce che è il ritorno alla normalità del Milan dopo la finale di coppa Italia mancata, come ha riconosciuto ancora Pioli, «per demeriti nostri e per certe decisioni», riferimento al rigore al '91 dell'andata con la Juve molto discusso e discutibile. È evidente che pur contando sul ritorno di Theo Hernandez e Castillejo, e dovendo aspettare Ibra («sta meglio non ci sarà contro la Roma»), il problema numero uno del Milan resta il gol. È il quarto, peggior attacco della A, dovuto agli stenti di Piatek nel girone d'andata e alle rare prodezze balistiche dei centrocampisti. Pensate: è dovuto arrivare, a gennaio, Rebic che non è proprio una prima punta per donare un po' di sangue a questo attacco anemico. Responsabilità diretta di qualche flop non annunciato, tipo Leao finito in panchina nonostante i tentativi di educarlo al calcio italiano e agli allenamenti intensi.
«Dev'essere più consapevole delle proprie qualità» il giudizio di Pioli sul portoghese finito in depressione forse anche per il verdetto del Tas di Losanna che l'ha condannato a versare un cospicuo rimborso di 16,5 milioni allo Sporting di Lisbona dal quale si era liberato in modo irregolare.
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