«Devi vincere, o sarai sostituito. I progetti e le idee di cui la gente ama parlare non esistono». Parole di Allegri? No, di Guardiola, pungolato sulla scarsa stabilità della professione di allenatore. Ne sanno qualcosa i due semifinalisti di stasera, Paulo Fonseca e Ole Gunnar Solsjkær, più sopportati che supportati dai rispettivi ambienti. Due gestioni piene di alti e bassi che appaiono però destinate a un esito opposto: se Fonseca rimane aggrappato all'Europa League per compensare, quantomeno parzialmente, una stagione al di sotto delle aspettative, Solsjkær non ha bisogno della coppa per guadagnarsi una conferma già ottenuta con una stagione di Premier League tra le migliori disputate dai Red Devils post-Ferguson.
Fonseca ha dovuto convivere fin dal primo giorno con il pregiudizio che accompagna ogni allenatore straniero che sbarca in Serie A, nel suo caso amplificato da una carriera lontana dai grandi palcoscenici, benché non avara di successi. Nel paese della tattica, un allenatore portoghese che ha vinto tre campionati con lo Shakhtar Donetsk non poteva non essere guardato con sospetto. Dal cambio di proprietà della Roma ne è uscito indenne, anche se l'idea circolata mesi fa sulla possibilità di affiancargli un tattico italiano la dice lunga sulla considerazione del suo operato. Una gestione, come detto, ben lontana dall'eccellenza, specialmente negli scontri con le big e in alcuni rapporti con i giocatori (Dzeko su tutti). Ma, risultati alla mano, una Roma tra le meno forti di quelle viste negli ultimi anni è arrivata in semifinale di Europa League dopo aver eliminato una squadra quotata come l'Ajax.
Solsjkær si è invece ritrovato traghettatore sulla panchina del club di cui era stato un'icona, con tutto ciò che concerne a livello di riconoscenza (salvo non si tratti del Chelsea, che ai primi veri segnali di difficoltà ha dato il benservito a Frank Lampard senza problemi). Parte della stampa inglese lo diceva espressamente: il norvegese rimaneva in sella allo United perché era ancora vivo leco della finale di Champions decisa all'ultimo respiro. Lo scorso anno il Guardian paragonò Solsjkær a una mucca che osservava quotidianamente i treni passare senza però mai imparare il funzionamento degli orari, in un chiaro riferimento su come l'esperienza quotidiana non si traduca automaticamente in capacità di comprensione. Nell'ultima Champions lo United è uscito ai gironi, eppure in Premier ha battuto City e Liverpool, e viaggia a una media punti superiore a quella dell'ultima decade di Ferguson.
Solsjkær ha da poco perso Ed Woodward, dimessosi dopo il flop Superlega. Era stato l'ex vicepresidente a volerlo e a difenderlo contro tutto e tutti. Ma i risultati recenti suggeriscono come il norvegese possa anche camminare da solo.
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