Dopo la conquista della Roubaix è finito in un frullatore, adesso è a Udine travolto dal vento. Sonny Colbrelli è comunque l'immagine della serenità e della gioia, si sta godendo questo momento magico a pieni polmoni, ma non nasconde un po' di stanchezza. «Non ero abituato a tutte queste attenzioni ci spiega il 31enne campione bresciano, che ieri sera, seppur via zoom, ha ricevuto l'Oscar tuttoBICI come miglior corridore della stagione, premio però materialmente ritirato la settimana scorsa, nella sede della Fondazione no-profit Ambrogio Molteni, che questo riconoscimento promuove - Mi è spiaciuto non essere presente in sala, ma la tecnologia mi ha aiutato. Sono orgoglioso di quello che ho fatto quest'anno, ma è anche giunto il momento di tornare a pensare solo alla bicicletta. Da dieci giorni ho ripreso gli allenamenti con una certa intensità, adesso sono qui a Udine per un team building di tre giorni con la squadra in galleria del vento, per tutta una serie di valutazioni e prove materiali».
La maglia tricolore di campione d'Italia a Imola, quella stellata di campione d'Europa a Trento, poi la fantastica vittoria alla Roubaix: un tris che vale una carriera.
«E mi ripaga di tanti sacrifici, ma spero che non sia finita qui. Ho ancora tanti sogni nel cassetto, ad incominciare dalla Sanremo, che ho in testa come poche altre corse al mondo».
E la Roubaix?
«Mi verrebbe voglia di non correrla più, così potrei dire: l'ho corsa una volta e l'ho vinta. Ma come si fa a rinunciare ad una corsa come questa? È impossibile».
Adesso però ha una pietra in casa che passa dal salotto al giardino...
«È incredibile, uno dei trofei più ambiti e prestigiosi del mondo, mia moglie Adelina fatica a considerarlo tale. Mi dice Ma è una pietra, teniamola in giardino.... Io la prendo e la metto sul tavolo in sala, come una reliquia, in bella mostra. Pensi che un giorno torno e me la trovo come peso per tenere tirato un filo che teneva legati dei palloncini dei bimbi... Io ho fatto fatica a capacitarmi di quello che sono riuscito a fare, ma Adelina fatica a capire che quella non è una semplice pietra di porfido, ma uno dei trofei più importanti e ambiti al mondo».
Più dura vincere la classica del pavé, o tenere testa alle tante richieste di premiazioni e serate?
«Per la Roubaix c'ero preparato, sapevo a cosa andavo incontro, il dopo di una vittoria così importante ed emblematica è stata una scoperta. Non c'ero davvero preparato. Però è stato molto bello. Molto gratificante. Con quella vittoria, ottenuta in quel modo, il mondo intero si è accorto di me. Nessuna vittoria ha il peso di quella pietra».
E adesso?
«Questa tre giorni in galleria del vento, poi dall'8 dicembre vado in Spagna ad Altea, in ritiro con tutta la squadra. E in un certo senso sono contento perché mi potrò riposare più che a casa. Poi con Damiano Caruso (2° al Giro d'Italia, ndr) e le nostre famiglie andremo in Gran Canaria dal 26 dicembre al 6 gennaio. Tanta bici, tanto lavoro: c'è da riconfermare quanto di buono sono riuscito a fare quest'anno».
È vero che in allenamento usa sempre la maglia tricolore?
«Verissimo.
È chiaro che sono orgoglioso di vestire la maglia bianca con le stelle di campione d'Europa, ma quella tricolore è bellissima. Così, visto che in corsa non posso usarla, me la godo in allenamento. Son pur sempre il campione d'Italia: quello che ha vinto la Roubaix».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.