Strapiombi, scogliere, la spiaggia bianca del Poetto, il solito ristorante, il regno mai nascosto di Riva, le oasi del cuore. Raccontava: «Arrivai a Cagliari incazzato con la vita». Se n'è andato forse in pace con se stesso, certo non morirà mai l'imprinting di uno statuario taciturno eroe dell'Isola. Riva e la Sardegna raccontano una storia di amore e libertà, quella che la vita gli aveva negato tra dolori personali e fatica di vivere. Come un Garibaldi, eroe di quel mondo, sventolò la sua bandiera che tanto mischiava colori, speranze e sapori con quella dei Quattro mori. Insieme lanciarono l'urlo della vittoria che strappava antiche catene alla gente definita null'altro che pecorai. GigggiRivvva urlò a tutti che la Sardegna «non è solo un'isola di pastori e banditi». Ma un'Isola da scudetto. Verità e sentimento risuonarono dal Gennargentu a Orgosolo, dalla futura Costa Smeralda agli isolotti di San Pietro e Sant'Antioco: rullo di tamburi intonato dal suo magico piede sinistro, dalla furia del vento che lo accompagnava e che poi divenne Rombo di tuono.
Cagliari, la Sardegna sono diventate terre del suo amore. Il Cagliari qualcosa di irrinunciabile ed inarrivabile per decenni. Arrivò sull'Isola nel 1963 per 37 milioni. La squadra giocava in serie B, l'Isola era considerata contrada (non solo calcistica) di serie B. Oggi sono stelle e stelle filanti, il mare della ricchezza e dei mega yacht. Allora c'era più povertà che acqua. Riva giocò la prima partita in A contro la Roma, il 19 settembre 1964, e non si staccò più da quella maglia bianca con i laccetti rossi, quando non era rossoblù.
Divenne più sardo dei sardi, non servo pastore, detta come De Andrè, ma servo-eroe, uomo di fiducia e piede infallibile della voglia di riscatto di un popolo. Non tradì mai. Stavolta ha tradito il cuore. Ma, i sardi lo sanno bene, Riva non se ne andrà mai.
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