La sbandata dello sport politically correct

Quasi mezzora senza sapere nulla. Solo il ricordo di un missile capovolto che striscia impazzito a 300 all'ora e poi le telecamere a riprendere l'altrove. Per mezzora

La sbandata dello sport politically correct

Quasi mezzora senza sapere nulla. Solo il ricordo di un missile capovolto che striscia impazzito a 300 all'ora e poi le telecamere a riprendere l'altrove. Per mezzora. Il pilota, il cinese Zhou, vivo? Morto? Ferito? Malconcio? Sulla luna? Su Marte? Dove, cosa, come, quando, perché, e c'erano davvero un pilota e un'auto capovolti o è stato un miraggio figlio del caldo? Benvenuti nello sport politically correct, ipocrisia a 300 chilometri all'ora, perché la F1 non è pericolosa, chi l'ha detto, e se succede qualcosa basta non mostrare nulla. E comunque nessun miraggio.

Le immagini arriveranno mezzora più tardi, dopo essere state soppesate, controllate, valutate, sdoganate; tutte inquadrature figlie di una censura preventiva che lede il diritto di cronaca e mortifica la passione mista al brivido che da sempre alimenta le corse di F1 e motoristiche in genere. A quel punto, a freddo, sarà un'indigestione di replay ad uso dell'audience e dei social, replay sguaiati, bulimici, pieni del tutto che non era stato dato prima a caldo, pieni del peggior voyeurismo che eccita animi e pruriti di chi non è vero appassionato a cui basta guardare, non vivere il momento.

E allora ecco ruote sgonfie, braccetti spezzati, roll bar schiantati, monoposto capovolte, piloti in balìa del destino, barriere divelte, fotografi miracolati in un'ammucchiata di replay sdoganati dalla censura.

Per mezzora il pathos della F1 trasformato in quello del curling, per mezzora violentata l'epica delle imprese e dei drammi degli Ascari, dei Lauda, dei Senna, dei Simoncelli che costituiscono, nella gloria come nella tragedia, il dna di questi sport. Perché brivido ed emozione non si possono registrare e posticipare per mandarli in onda come un videogioco solo se ci sono favole a lieto fine.

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