Certo in Brasile sta facendo un caldo terrificante, eppure arriva proprio da lì una ventata di aria fresca, come se avessero finalmente spalancato la finestra su un ambiente chiuso, buio, ammuffito. Se dio vuole, anche nel calcio si respira la brezza salutare della novità. Magari non si coglie subito la fondamentale utilità delle scarpe di due colori diversi (già circolano le prime barzellette in simil-carabiniere: dato il Q.I. di certi calciatori, i colori diversi servono a evitare che mettano la sinistra sul piede destro e la destra sul piede sinistro). In tutto il resto, però, i progressi sono tangibili. Considerato il livello medievale dei rigidi conservatori che governano il calcio, si può parlare tranquillamente di rivoluzione. Come diceva Mao, piccoli passi di un lungo cammino. Si spera.
Il vero cambiamento epocale, bisogna dirlo, sta proprio nell'apertura intellettuale (ma sì, usiamo pure questo aggettivo): per la prima volta, le vestali del pallone accettano l'idea del nuovo. Niente che sconvolga i loro dogmi e le loro scritture sacre: semplici accorgimenti per rendere questo grande gioco un po' meno anacronistico, caotico, avvelenato. Già l'idea di prevedere il time-out per tutelare la salute dei giocatori è molto saggia. Finora non l'abbiamo vista in pratica, ma è consolante sapere che esiste. Che può scattare in qualsiasi momento. Tuttavia sappiamo bene quali siano le novità veramente clamorose, veramente sconvolgenti, almeno per questo cocciuto santuario dell'ortodossia che è la Fifa. La prima, la più importante, la più terapeutica: l'occhio elettronico per decidere se la dannata palla sia entrata o no. Noi che veniamo da Turone e da Muntari, che nei secoli dei secoli continueremo a raccontarcela con i ma, i se, i però, sappiamo bene cosa significhi questa innovazione. Ma lo sanno in tutto il modo, perché ciascuno presto o tardi ha i suoi Turone e i suoi Muntari. L'altra sera, gol della Francia, tiro di Benzema rimbalzato dal palo sul portiere: in un'altra epoca, cioè fino a una settimana fa, si sarebbe scatenata una guerra mondiale. Invece basta un'occhiata al replay e fine della discussione: è dentro, al di là della linea e di ogni ragionevole dubbio, palla al centro e si ricomincia a giocare.
E vogliamo parlare della bomboletta? Certo sono pure un po' ridicoli, questi arbitri del gotha mondiale che si abbassano a tracciare la riga come vigili durante il rilievo del sinistro, ma la banale operazione sta realmente sconvolgendo il clima in campo e sugli spalti: fine degli estenuanti teatrini ad ogni punizione, mezz'ora di tira e molla, con questi padri di famiglia che rubano un centimetro alla volta come bambini dell'asilo, con l'arbitro che li spinge indietro minacciando cartellini e loro che appena si volta riprendono il meschino flusso della barriera semovente, basta con queste patetiche sceneggiate, basta con le infinite perdite di tempo, basta: la barriera sta dietro la riga e si può calciare in tempi umani, nell'incredibile atmosfera di serenità sociale.
Ma ci voleva tanto, maledizione? Dico a voi, uomini del tempio, farisei della tradizione, capoccioni che avete impiegato interminabili decenni per arrivare là dove gli altri sport (ciclismo, rugby, basket, tennis, volley) sono pervenuti tranquillamente da tempo immemorabile.
In attesa che prima o poi il vostro ridicolo orgoglio accetti finalmente anche l'ultima scalfitura, la più importante e la più utile, questa benedetta moviola a bordo campo per fuorigioco, fallacci e rigori, in attesa che la vostra arroganza finalmente si pieghi al bene comune, noi ci godiamo quest'aria fresca in arrivo dal Sud America. Qui Brasile, c'è già un risultato storico: vince lo sport, perdono i capoccioni.
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