C'è di mezzo una bambina e il mondo dello sport è abituato alle bambine prodigio. Un po' meno alle bambine ad effetto doping. Che l'abbia preso o meno. Il doping è rock. Ogni tanto si legge Roc, ovvero Russian Olympic Committee. Non un bel leggere da qualche tempo. Stavolta c'è di mezzo Kamila Valieva, fantastica pattinatrice di 15 anni. Da giorni il suo caso mette alla berlina il mondo olimpico. Comunque vada ne escono tutti male. Ieri il Tas (Tribunale arbitrato dello sport), presieduto da un avvocato italiano, Fabio Iudica, ha deciso che la ragazzina, pur accusata di positività ad un controllo doping del 25 dicembre, potrà gareggiare sub iudice nella gara individuale, senza dimenticare che ha già vinto l'oro a squadre il 7 febbraio. Ineccepibile decisione: il Tas si è espresso solo sul provvedimento di sospensione richiesto dal Cio, senza incidere sull'eventualità di una squalifica futura che potrà essere decisa dalla Wada (agenzia mondiale antidoping) anche in forma retroattiva, con conseguenze pure sulla gara a squadre.
Come capita in questi casi, Cio, Wada e Unione internazionale pattinaggio ci sono rimasti male, dopo aver promesso tuoni e fulmini. Prima decisione: nessuna cerimonia di premiazione per l'artistico femminile finchè il caso non sarà chiarito. Definiamola una forma di rispetto verso gli altri atleti. Nel frattempo i russi hanno preso la sentenza come un successo nazionale. Gli americani, secondi a squadre e in odor di oro, hanno digrignato i denti. Lo sport ne è uscito accartocciato, la ragazzina salvaguardata ed è il punto più importante. Ma qui va segnalata la posizione del Washington Post: a favore della pattinatrice e polemico contro Cio e Wada per la scadente gestione dei casi doping in questi anni. Quasi voglia condurre ad una impensabile alleanza Usa-Russia, nemmeno la politica dovesse imparare. Le vie della pace sono infinite. L'accusa punta il dito contro persecuzioni arbitrarie e intollerabile sciatteria per casi di cui gli atleti spesso si sono lamentati. Svilisce gli eventuali vantaggi della trimetazidina, medicinale trovato negli esami della Valieva, e semmai invita a rivolgersi a Eteri Tutberidze, l'allenatrice della ragazza. Idea che la Wada ha già sposato e non era difficile da pensare. Raffinata la conclusione: «Se tolleranza zero significa che gli errori degli atleti non sono perdonati, allora anche la Wada non deve sbagliare mai». E qui ha sbagliato davvero trascinando il caso fin ai Giochi, adducendo come scusa i ritardi del laboratorio di Stoccolma causa Covid. Da qui anche le motivazioni del Tas basate su circostanze eccezionali: «L'età della Valieva che avendo meno di 16 anni è una persona protetta secondo il codice internazionale». Semmai andrebbe rivista verso l'alto l'età per partecipare a gare senior. Secondo punto: «Il danno irreparabile legato alla sospensione tra integrità e regolarità delle gare». Infine «Ingiustificato lo stop alla pattinatrice durante i Giochi senza concederle opportunità di difesa».
Ma detto tutto questo si pone l'ultima domanda: quanto vale il senso dello sport? È onesto che un atleta positivo partecipi ad una
gara? C'è rispetto per gli altri atleti? Il Cio, ad evitare altre figuracce, ha chiesto di iscrivere alla gara femminile 25 atlete anziché 24. La Valieva è la favorita ma, fra diversi mesi, la classifica potrebbe cambiare.
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