Rieccolo l'ultimo arciere di quella triade che a Londra 2012 centrò il 10, il simbolo del centro perfetto. L'oro a squadre: con Marco Galiazzo e Michele Frangilli.
Mauro Nespoli è ancora qui, stavolta destinazione Parigi. Il tiro con arco comincia giovedì, ultima gara il 4 agosto con l'individuale maschile. Trentasei anni, di stanza a Voghera: un bel modo di raccontarsi, intravedi l'equilibrio tecnico e mentale imposto dalla specialità e nessuna intenzione di pensare al domani. Conta l'oggi. «Finché hai passione, voglia e mira puoi continuare. Cercherò di assaporare questa mia quinta Olimpiade in ogni momento. Voglio divertirmi, se ti diverti tutto riesce meglio».
È uno dei campioni dell'Aeronautica militare. Quinta olimpiade e sempre la stessa ambizione. «Mi manca il bronzo come colore: dopo due argenti, a squadre (Pechino 2008) e individuale (Tokyo 2021). Ma l'oro individuale sarebbe la ciliegina. Conta vincere, non partecipare. Lo direbbe anche un arciere del Bangladesh».
Ne ha fatta di strada da quel giorno all'Aprica. Aveva 9 anni ed ecco l'ispirazione per il tiro con l'arco. Anzichè che dire: lo sci.
«Per amor di cronaca era estate. Non pensavo alla neve, al massimo alle passeggiate con genitori e nonni. Vidi quel campo di tiro con arco e ci metto il romanticismo legato ai film su Robin Hood. Anche nei film di oggi l'arco è stato sdoganato. Trascende i tempi. Non è più quello della caccia all'antilope nelle savane. L'arco è attrezzo primordiale per eccellenza, usato fin dalla preistoria e in battaglia. E per me, appassionato di storia e mitologia, era come la droga per tossico dipendenti: con accezione positiva ovviamente. Invece l'innamoramento olimpico mi è venuto nel 2000 guardando i Giochi di Sidney».
Da cultore di storia, apprezzerà la scelta dell'Esplanades des Invalides come campo gara. Là si rincorrono monumenti storici: tomba di Napoleone, ponte dedicato ad Alessandro III, museo di storia militare.
«Location affascinante, gratificante, emozionante. Un valore aggiunto: tireremo fra la storia».
Pensare sempre a quel 10, il centro perfetto, propone ossessione o esaltazione?
«Esaltazione, coronamento di una esecuzione tecnica perfetta. Può diventare opprimente se la tenuta mentale non è ottimizzata. Dobbiamo estraniarci dal desiderio di colpire il 10 e focalizzarci sull'esecuzione corretta».
Sport crudele, basta sgarrare di due millimetri ed è errore. Cosa pensate quando avete l'ultimo contatto naso-mento sulla corda?
«Crudele certo. Quello naso-mento è il momento trappola dove l'occhio viene chiamato dal bersaglio e si rischia di perdere il focus. Ci si sposta sulla mira senza pensare al resto. Come dire: o la va o la spacca ma facciamo in modo di farlo andare. Non ci affidiamo al caso».
C'è molta analisi, scienza nel vostro sforzo
«Si, molta scienza. Gli orientali interpretano in modo più filosofico, noi con basi più scientifiche tra selezione dei materiali, sistemi di allenamento per valutare fattori che determinano la precisione».
Sport facile da capire: dove si ficca la freccia
«È paragonabile ai calci di rigore nel pallone. Potrai non capirne di fuorigioco ed altro, ma se il tiro va in porta è gol. Noi tiriamo 15 calci di rigore per sei scontri individuali e così a squadre».
Sarà una Olimpiade tra guerre e conflitti
«Le guerre non hanno senso. Nel 2024 è assurdo e illogico sentire ancora parlare di guerre. Ben venga un momento più leggero, sperando di portare un po' di serenità con le nostre prestazioni».
Le donne vi tengono testa nel tiro.
«È sport ambivalente. In certi Paesi, come la Corea, le donne gareggiano a livello maschile con equilibrio e coordinazione che talvolta noi non abbiamo. È disciplina che ci mette alla pari».
E quando Nespoli chiuderà con l'arco?
«Ho studiato scienze motorie, potrei fare il tecnico. Però mi piace la cucina. Vorrei aprire una osteria dove mangiare, bere e far chiacchiere: con i cellulari stiamo perdendo l'abitudine. In fondo l'arco mi ha insegnato che i confini non esistono. Andrò dove mi porterà il cuore».
Si è mai dimenticato l'arco da qualche parte?
«Mai. Lo porto sempre con me. Diciamo che sarebbe come uscire di casa alla mattina senza le mutande».
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