C'è modo e modo per entrare dalla porta della storia, ed anche per uscirne. Ma se tu sei quello che difende la porta, allora è un bel problema. Loris Karius, bambolone biondo-tedesco con treccia, quel fisicone tatuato e sagomato da culturista che fa avvampare gli occhi di qualunque attrice e porno star, lo ha capito in un pugno di minuti. È entrato nella storia del calcio. Eppoi nel racconto di una solitudine che ha impietosito. Si, vero, forse ha ricordato a ciascuno di noi le proprie debolezze. Il mondo, divertito e sgomento dalle sue paperacce, si è guardato per un attimo allo specchio: e quando capita a me nella vita?
Ecco, c'è tutto questo nell'oltrepassare la porta della storia, a dispetto di una sconfitta che si porterà addosso sempre, nella testa, sulle mani che forse oggi vorrebbe rimodellare per rendere meno mollicce. Quelle mani disfatte lo hanno lasciato solo, un'immensità di vuoto intorno a lui, nonostante migliaia di persone sulle tribune, milioni davanti alle tv, compagni e avversari sul campo. Eppure l'altra notte, nello stadio Olimpico di Kiev, il meraviglioso segreto dello sport ancora una volta ci ha raccontato i suoi riti: ha strettamente congiunto felicità e dannazione, sorriso dei vinti e disperazione degli sconfitti, la ricchezza di un successo e la povertà miserevole di un uomo dalle mani bucate.
Loris Karius è, forse era, un portiere: non un eccelso discendente dei grandi numeri uno, magari un fortunato capitato nel posto sbagliato, nella sera sbagliata. «Vorrei tornare indietro ma non posso. Non ho dormito, le scene mi passano per la testa. So di aver combinato un guaio e di aver deluso tutti», ha scritto via social al suo mondo. Che altro poteva dire? Ecco, appunto: «Torneremo ancora più forti». Forse non tutti. Forse non tu. Jurgen Klopp si è affidato a lui nonostante qualche papera in carriera non sia mancata. Il Liverpool lo aveva pagato 4,7 milioni di sterline, versati al Mainz. Lo aveva cresciuto il Manchester City, con Balotelli c'era feeling: gli avesse insegnato anche a parare i tiri! Al suo posto poteva esserci Simon Mignolet, uno che non ha mai tranquillamente accettato la panchina. Storie del destino.
Il portiere è sempre l'uomo del destino: quante papere hanno deciso una storia di pallone? Tommy Lawrence, un altro numero uno del Liverpool, si fece soffiare il pallone da Joaquim Peirò e l'Inter navigò (anno 1965) verso la finale di coppa dei Campioni. Moacir Babosa portò fino alla morte il peso della sconfitta del Brasile nel mondiale 1950. Sono state scritte migliaia di parole sulla solitudine del portiere, ma nulla può essere più efficace e di folgorante bellezza quanto il dramma vissuto dal vivo, dove sono zampillati i tragicomici errori, quel pianto da uomo devastato e quel ritrovarsi solo a fine partita, senza nessuno che andasse a consolarlo. I compagni non ce l'hanno fatta. Ci ha provato Gareth Bale, uno dei perfidi giustizieri.
Ci ha provato il suo pubblico quando Karius si è tolto le mani dal viso. I tifosi applaudivano: pareva pura compassione. Un tipo poco ameno come Jean Paul Sartre diceva: «La fiducia si guadagna goccia a goccia, ma si perde a litri». Nella notte di Kiev, Karius ha scoperto che aveva ragione.
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