Vincere per la prima volta a 66 anni, vincere per la prima volta seguendo la strada più difficile, vincere con l'Atalanta regina della provincia, vincere dando lezione di calcio a tutta Europa. Vincere e togliersi qualche sassolino dalla scarpa. Nella notte dolce di Dublino, dove da sempre scorrono fiumi di birra, Gian Piero Gasperini può brindare a un'impresa che, se non lo rende migliore di ieri, come ha ammesso al fischio finale, di certo lo consegna alla storia, non solo del calcio italiano.
Prima di tornare a casa, Gasp può dire con orgoglio che «siamo stati bravi», ma questa volta lo può dire alzando una coppa, quel trofeo per cui molti gli rimproveravano di essere un incompiuto. Adesso c'è solo da levarsi il cappello davanti a questo signore che ha costruito la sua storia lontano dalla grande ribalta, anzi, che quando si è avvicinato alle luci della città si è pure scottato rapidamente. La vittoria di Gasperini è quella dell'altra faccia del pallone, della provincia che non fa voli pindarici, ma lavora sodo e bene. E non a caso, in tutte le interviste con la coppa in mano, il tecnico atalantino mette un concetto davanti a tutti gli altri: «Quello che ha fatto l'Atalanta è un'impresa straordinaria, perché l'abbiamo fatta senza avere grandissimi debiti. Perché quando hai grandissimi debiti vinci anche tanti titoli, ma vincere come ha vinto l'Atalanta ha un valore diverso».
Il sassolino diventa una frecciata, soprattutto per i grandi club, Inter e Juve in testa. E Gasp non usa mezzi termini: «Chi vince, e abbiamo visto gli episodi di questi giorni, ha difficoltà a mantenere i conti in ordine. Vincere come ha vinto l'Atalanta, senza debiti, penso sia un grande modo di trionfare. È una di quelle favole che si vedono raramente, ma che dà spazio alla meritocrazia e alle idee, non solo alle superleghe. È una vittoria che dà fiducia anche a chi non ha i grandi numeri. Perché vincere non vuol dire solo sollevare trofei, altrimenti quest'anno avrebbero vinto solo l'Inter e la Juve, ma in base agli obiettivi hanno vinto anche il Bologna o il Verona, o il Lecce».
Lo sfogo dell'uomo potrebbe essere anche quello del club, ma Gasperini vuole soprattutto ringraziare chi gli ha dato la possibilità di arrivare fin qui, senza dimenticare nemmeno i primi splendidi anni del Genoa: «A Bergamo mi hanno fatto lavorare con grande fiducia. Siamo cresciuti insieme e siamo arrivati fin qui». Si concede anche un pizzico di autocritica, magari pensando a quelli che, una volta lasciata Bergamo, gli hanno dato del dittatore: «A volte sono un po' pesante, me ne rendo conto, ma ho sempre l'ambizione di fare qualcosa in più». E chi è rimasto con lui lo sa, perché con Gasp non ti puoi permettere tante distrazioni, soprattutto in allenamento, perché dietro la maschera del saggio gentile c'è sempre quella del maestro di calcio spietato, sempre col fiato sul collo dei suoi. Ma per tirar fuori campioni dai Koopmeiners e dai Kolasinac, dai De Roon, dagli Hateboor e dai Lookman, bisogna affidarsi ad occhi chiusi alle sue cure.
Adesso semmai il vero nodo da sciogliere sarà quello del futuro. Un nodo che rappresenta il lato B del trionfo bergamasco. «Non c'è momento migliore per lasciare, dopo una vittoria come questa», scherzava l'altra sera davanti alla Tv, frenando però subito: «Ma io voglio perdere». Fumo negli occhi o reale tormento, chi lo sa? «Rimanere? Devo parlare col presidente, adesso festeggiamo. È come avere una moglie e dei figli, sei felice ma ti passa davanti una donna bellissima».
In attesa di capire se avremo un Gasp fedifrago o fedele, teniamoci quello vincente. Perché è vero che la grande Olanda e la grande Ungheria sono passate alla storia anche senza sollevare coppe, ma un trofeo in bacheca ti fa più felice. E mette tutti a tacere.
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