È vero, lo sappiamo benissimo che i nostri cugini Oltralpe sono bravissimi a infiocchettare anche una stamberga, ma il Tour de France non ha bisogno di stratagemmi; è lì da vedere, in tutta la sua magniloquenza. È la Grande Boucle bellezza, e noi qualcosa dovremmo pur fare.
Si tratta di uno degli eventi più mediatici al mondo, secondo solo ai Giochi Olimpici e ai mondiali di calcio, che però si svolgono a differenza della corsa francese ogni quattro anni. Oggi si chiuderà a Parigi, sui Campi Elisi in festa, lasciati con tribune e palchi già predisposti per la celebrazione della presa della Bastiglia del 14 luglio scorso. Tutto è pronto per la passerella conclusiva, per le premiazioni finali, dalla maglia gialla il danese Jonas Vingegaard, al «re bambino» che si è dovuto inchinare dopo due anni di predominio al «re pescatore». Con loro, sul palco, il gallese Garaint Thomas, vincitore nel 2018.
Partiamo però da dove questo Tour è partito, cioè da Copenaghen. Il budget stanziato nella capitale danese è stato di 88 milioni di corone, pari a 11,8 milioni di euro, a cui hanno contribuito il governo (2,3 milioni), le cinque municipalità coinvolte (7,4 milioni) e le regioni (2 milioni). Inizialmente questa Grand Départ era in programma per l'anno scorso, ma per la pandemia è slittata di un anno e questo ha comportato dei costi aggiuntivi per circa 780 mila euro, interamente sostenuti dal governo danese e dalla stessa Amaury Sport Organisation (ASO), l'ente proprietario del Tour de France.
La notizia è che tra due anni il maggior evento ciclistico del mondo potrebbe partire per la prima volta in Italia. A questo progetto sta lavorando da tempo l'ex ct azzurro nonché presidente dell'Apt Emilia Romagna Davide Cassani, che ha il mandato dal governatore Stefano Bonaccini (interessata anche Firenze, con il suo sindaco Dario Nardella) per portare nel Belpaese un prodotto planetario, ideale per la promozione turistica del nostro Paese. «Ci speriamo ha spiegato al Giornale Cassani -. I contatti con gli organizzatori francesi sono continui: sono già venuti tre volte a visionare strade e location per capire la fattibilità del progetto. Siamo a buon punto. Entro fine anno sapremo». Il Tour d'altronde è un prodotto che si vende nel mondo, e non è un caso che quest'anno Aso abbia annunciato un accordo di partnership con Netflix e France Televisions, che detiene i diritti della corsa (per cifra 25 milioni di euro annui). In questa edizione lo staff di Netflix si è unito ai maggiori team (ma non con la UAE Emirates di Tadej Pogacar) per girare tre settimane di corsa, riprendendo tutti i retroscena per una docuserie da otto episodi di 45 minuti ciascuno che sarà distribuita nel primo semestre del 2023. Una grande novità di una corsa che tra sponsorizzazioni e diritti televisivi vanta un giro di affari attorno ai 150 milioni di euro. Il montepremi è di 2,3 milioni e al vincitore vanno 500 mila euro (al Giro 265.000). «Per un team il Tour è il 50% della sponsorizzazione di tutto l'anno spiega Cassani -. È una vetrina troppo prestigiosa e ambita. Cosa manca al Giro per colmare il gap? A livello di percorso non ha nulla da invidiare, così come sotto l'aspetto organizzativo.
Manca però quell'attrattiva mediatica che induce le squadre e i loro campioni a non rinunciare all'evento. Il Giro deve portare più big e campioni: sono loro che fanno la differenza. E anche quest'anno sulle strade del Tour si è visto piuttosto chiaramente».
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