I dialoghi del var resi pubblici, sia pure a una settimana di distanza per motivi tecnici, rappresentano una boccata d'aria pura nel calcio italiano attraversato spesso, in casi di sfondoni clamorosi, da insopportabili sospetti e venti pestiferi. Decisione coraggiosa (con la benedizione di Gravina) del designatore Rocchi (nella foto) che deve nel frattempo completare, senza gravi scossoni alla credibilità del campionato, il passaggio dalla generazione dei più affidabili ed esperti (Orsato, Doveri, etc) a quella dei successori (Marchetti, Sozza, Marcenaro, Colombo).
C'è un solo rischio da evitare: per «difendere» i nuovi fischietti spesso il designatore si avventura in giudizi talmente arditi da dettare l'impressione di voler quasi riscrivere un regolamento personale. Due esempi: 1) il fallo da rigore su Chiesa in Juve-Bologna «degradato» a semplice scontro; 2) l'entrata pericolosa di Berardi su Bremer che avrebbe dovuto far scattare il rosso e che Rocchi invece ha parzialmente giustificato considerando il giallo deciso dall'arbitro Colombo «una interpretazione» molto libera.
C'è un altro rilievo sul funzionamento del var che va segnalato. In una intervista, il numero uno della categoria, Irrati ha spiegato che qualche volta, da varista, non è intervenuto richiamando il collega alla revisione «perché solidale con lui avendo vissuto sul campo la stessa condizione». Ecco allora che sul punto tale sentimento potrebbe diventare la chiave per decifrare certi «silenzi-assensi» che non hanno una spiegazione protocollare.
Di qui allora l'esigenza, per il futuro, di prevedere la separazione delle carriere: da una parte quelli di campo, dall'altra quelli del video. Perché i due sono mestieri diversi. Ultima annotazione: non sarebbe una cattiva idea fare ricorso a qualche ex arbitro «moviolista» specializzato a «leggere» e decifrare velocemente le immagini.
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