Ci mancherà l'uomo più del pilota. Sebastian Vettel ha dei numeri da leggenda, ma la sua è una leggenda esagerata e bugiarda come riesce a esserlo ogni tanto la Formula 1. Quando guardi l'Albo d'oro del campionato del mondo e vedi che Seb ha quattro titoli, due in più di gente come Alonso o Niki Lauda, uno in più di Jackie Stewart, quattro in più di Stirling Moss, capisci che quell'Albo d'oro è bugiardo come una moneta da cinque euro. Sebastian Vettel è stato un grande pilota, non un grandissimo. È stato al posto giusto nel momento giusto, ha conquistato quattro mondiali, 53 gare, 122 podi, è ancora oggi il più giovane ad aver vinto il campionato del mondo a 23 anni 4mesi e 11 giorni, ma la sua carriera resterà una grande incompiuta per quella macchia rossa che va a imbrattare i suoi 16 anni in F1.
Era arrivato in Ferrari per seguire le orme del suo idolo Schumacher, allungare la sua striscia vincente a Maranello in una Scuderia di cui conosceva bene la storia e il significato, una squadra che ha davvero amato al contrario di altri mercenari di passaggio. Ha fallito. Per colpa sua in quello sciagurato 2018 da cui non si è mai più ripreso e per colpa di una Scuderia che non gli ha dato il sostegno necessario una volta mancato Marchionne e men che meno una macchina vincente. Si è trovato in mezzo alla guerra tra Arrivabene e Binotto, si è trovato indifeso quando sulla Scuderia è arrivato lo tsunami Leclerc che si è preso tutto. In Ferrari ha corso 118 gare vincendone 14 (solo Schumi e Lauda hanno fatto meglio), ha fatto cantare i meccanici, ha fatto ballare i tifosi, ma alla fine non ha raggiunto quel mondiale che lo avrebbe trasformato in vera leggenda come il suo idolo Schumi del cui figlio Mick è diventato amico e un po' pigmalione.
Alla Ferrari deve il suo primo titolo nel 2010 quando alla vigilia dell'ultima gara di Abu Dhabi aveva 15 punti in meno di Alonso e andò in onda uno dei più clamorosi suicidi sportivi della storia. Un dolore da cui Alonso, Domenicali e Montezemolo non si sono più ripresi. Fu proprio Montezemolo (nel 2014 sotto la gestione Mattiacci) a portarlo a Maranello anche se non ne fu mai il presidente perché venne mandato via prima. Vettel avrebbe avuto bisogno di un sostegno come quello che gli ha dato Marchionne fin che c'è stato. La storia avrebbe potuto avere un finale diverso. Così invece ci mancherà molto di più l'uomo, il grande sostenitore dei diritti umani, del nostro pianeta e ovviamente della sicurezza in Formula 1. Con i suoi caschi e i suoi gesti ha detto tanto in un'epoca in cui la giovane generazione dei piloti è più impegnata sui social che sulla sostanza.
L'augurio è che Stefano Domenicali se lo tenga stretto perché un pilota così innamorato della Formula 1 in giro non c'è.In Ungheria ne stanno parlando bene tutti. E sono sinceri. Come Max che dice di aspettarsi una Super Ferrari. Sempre che regga fino al traguardo.
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