Zaza, gol di riserva. E Sarri si beve l'amaro lucano

Fra tanti stranieri decide il bomber della Basilicata: rimpiazza Morata e segna per la terza volta dalla panchina

Zaza, gol di riserva. E Sarri si beve l'amaro lucano

Zaza, quattro lettere, un gol, vittoria, tre punti, sorpasso, primato. Improvviso, come uno sparo nel buio di una serata moscia di football, acida, frenata, senza un solo spiraglio per capire dove fosse l'uscita, è arrivata la fucilata che ha riacceso lo stadio. Zaza era appena entrato in campo, aveva guardato dalla panchina un gioco senza sbocchi, Morata soffocato dal suo compatriota Albiol, Dybala a nuotare lontano dalla porta di Reyna, Higuain bloccato da Bonucci-Enrico Toti e poi dal solito Tarcisio Barzagli. Poi Allegri ha deciso: fuori lo spagnoletto pieno di paure e di brillantina, dentro il lucano sfacciato, potente, prepotente e anche fortunato.

Simone Zaza è italiano, questa è la nota più importante, se fosse nato in Spagna, Germania, Olanda, scriveremmo di lui come il fenomeno del futuro, come l'uomo mercato. E invece, venendo da Policoro come anagrafe e dal Sassuolo, come ultima ditta di lavoro, sempre con il marchio bianconero appresso, deve mettersi in coda, aspettare il turno, sperare nei guai di un sodale di squadra e poi, eventualmente, mettere il muso, quella crapa pelata, dentro la mischia. Così ha fatto, Zaza, scaricando il pallone alle spalle di Reina, con una ferocia e una intuizione da goleador puro, vero, sincero. A giugno compirà venticinque anni, non sono verdissimi ma nemmeno maturi al punto giusto, è l'età in cui si può, anzi si deve svoltare. La maglia della Juventus pesa, non è quella del Sassuolo, dell'Atalanta, Sampdoria, Ascoli, tutta roba buona ma, come si usa dire, è la sana provincia nostrana, quella che ha frequentato prima di arrivare all'università. Torino è un'altra cosa, qui sono venuti fior di campioni, qui non vive di rendita nessuno, anzi. Simone Zaza è un pallino privato di Conte.

Quando al Sassuolo, cioè negli anni scorsi, il ragazzo faceva coppia con Berardi, altro futuro probabile juventino, l'allenatore della nazionale continuava a ripetere che il calciatore vero fosse per l'appunto Simone e non quel «mattocchio» di Berardi, istintivo, sì ma poco disciplinato, in campo e fuori. Ieri sera Conte deve aver goduto doppio, pensando al proprio passato e al futuro della nazionale in Francia, con questo impenitente baciato dalla buona sorte.

All'inizio, la Juventus gli ha messo paura, il popolo dei tifosi lo fischiava, la stampa, cioè noi, pensavano al solito attaccante di passaggio in attesa del numero uno. Il suo gol ha tre valori: vittoria, sorpasso e record di successi consecutivi. Che altro vuole uno in più dalla vita? Una maglia di titolare. Bianconera e azzurra.

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