La «Stella del Nord» che conduce al mito

Ito Ruscigni, studioso di storia delle religioni e fenomenologo del sacro, da anni è autore di libri di versi che rivendicano una poetica diretta al mito e alla meditazione sapienzale. Il suo nuovo libro, Stella del Nord (Nuove laminette orfiche), edito da De Ferrari (pagg. 138, euro 12) si apre con «La mia poesia», in cui si leggono accenti molto polemici contro i verseggiatori «acrobati di parole», «saltimbanchi attratti dal potere», «giullari che non fanno ridere». La propria poesia è vista come «Frammenti di un sapere antico/ riportato alla luce/ per divinare il futuro». E un’antica e solenne invocazione alla Musa si risolve nell’affermazione secondo cui il concetto si raccoglie in immagine e l’inesprimibile si riverbera nel Simbolo, nella certezza che il sogno precede la parola dell’uomo, ma che nello stesso tempo «il Logos non si oppone al Mito».
Su queste basi teoriche, Ruscigni procede con un linguaggio di apparente semplicità, ore lieve ora petrosa, un ragionare per immagini e concetti fusi insieme, che persegue una verità nascosta, alla maniera dei mistici, ma senza la fissazione appassionata di certa mistica sul Dio del monoteismo. Ruscigni cita Jakob Böhme, ha cadenze che ricordano i grandi sufi, da Rumi ad Attar, ma il suo, più che un abbandono a Dio, è una ricerca del senso del divino. Per trovare il Bene, la Sorgente, bisogna risalire il fiume. Come fanno i salmoni, simboli dell’anima per i sapienti celtici. Come fa la trota, che Camillo Sbarbaro scelse come proprio emblema morale. E andando «controcorrente» Ruscigni cita Cardarelli («Salpare con te/ sulla nave di Liguria»), che in piena estate con addosso il fardello del cappotto presagiva i brividi dell’oblio, ridà il suo posto di vate a Carducci.

In certi momenti poi la poesia si realizza nella linearità etica, molto bella, come in Dighe al dolore: «Non costruire dighe/ al dolore/ Detriti e fango/ insabbieranno il tuo cuore/ Lascia che scorra/ tra orridi e gole// Si placherà nel mare».

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