Stimato dalle cancellerie occidentali, amava le feste e si circondava di vip

Saif al Islam è il figlio "intelligente" del defunto colonnello Gheddafi. Delfino in pectore del regime rimasto al potere a Tripoli per quarant’anni, era stato l’unico ad alzare il ditino contro papà proponendo timide riforme. Stimato dalle cancellerie occidentali, amava le feste e si circondava di vip

Stimato dalle cancellerie occidentali, amava le feste e si circondava di vip

«La spada dell’islam», classe 1972, è il figlio «intelligente» del defunto colonnello Gheddafi. Delfino in pectore del regime rimasto al potere a Tripoli per quarant’anni, era stato l’unico ad alzare il ditino contro papà proponendo timide riforme.
Saif al Islam è uomo di mondo istruito a Vienna e a Londra trasformatosi, suo malgrado, nell’ultimo erede combattente del clan Gheddafi con un mandato di cattura internazionale per crimini di guerra sulla testa. Chi vi scrive lo ha incontrato la prima volta ai funerali del suo grande amico Jorg Haider, governatore della Carinzia. Nella piazza di Klagenfurt, il giorno della cerimonia, era seduto a un passo da Mario Borghezio, l’europarlamentare mangia musulmani.

A suo agio davanti alle telecamere, fin da piccolo, nel 1986 era al fianco della madre ferita e con stampella sulle macerie di Bab al Azizyah, la roccaforte del colonnello bombardata dagli americani. Venticinque anni dopo, con la Libia infiammata dalla rivolta, ripeteva in perfetto inglese: «Non ci arrenderemo mai».
La spada dell’islam ha studiato a Vienna e poi ottenuto il master, con una tesi scritta da altri, alla prestigiosa School of Economics and Political Science di Londra. In Inghilterra è stato ospite a palazzo reale e buon amico di Tony Blair, l’ex premier laburista. In patria guidava la Fondazione Gheddafi che è servita a tirar fuori dai guai diversi ostaggi occidentali dalle Filippine al Sahara. Non solo: Saif ha lavorato ai fianchi il padre per ottenere il rilascio di alcune infermiere bulgare accusate ingiustamente di aver infettato dei neonati libici con l’Hiv. Cécilia, la moglie di Nicolas Sarkozy prima di Carla Bruni, fece un figurone riportando a casa le poverette. Proprio il presidente francese, che ha voluto far fuori Gheddafi, si incontrò con Saif nel 2007 per un mai chiarito affare di armi. L’anno dopo, il secondogenito del colonnello veniva accolto con il tappeto rosso a Washington dal segretario di Stato Condoleezza Rice. Saif spinse il colonnello a riaprire le porte all’Occidente chiudendo con il passato da sponsor del terrorismo. Immortalato con Massimo D’Alema, il rampollo ha favorito la firma del padre e di Silvio Berlusconi sul trattato di amicizia con l’Italia.
Apprezzato dalle cancellerie occidentali, veniva vezzeggiato nei salotti bene. Per Marta Marzotto era una specie di figlioccio: «È un moderato. Non va mai in giro con i macchinoni, tipo Ferrari. Quando viene a trovarmi in Sardegna con il fratello di Afef usa una Panda». Per il Capodanno del 2009, però, ha assoldato Mariah Carey per un milione di dollari. Le puntate nel deserto nella sperduta oasi di Jalu, dove invitava il jet set internazionale, erano leggendarie come la festa dei suoi 37 anni in Montenegro con la presenza di Alberto di Monaco.
Mondanità a parte, la spada dell’islam sperava veramente di riformare il regime e aveva commissionato la stesura di una costituzione ad esperti francesi. Sempre Saif ha convinto il padre, di malavoglia, a liberare i prigionieri islamici ex di Al Qaida, come gesto di buona volontà. Peccato che sono stati i primi a imbracciare le armi contro il regime. Nei giorni della rivolta si presentava ai giornalisti, all’hotel Rixos di Tripoli, come il Gheddafi dal volto umano. Anche quando brandiva per aria il kalashnikov gli veniva difficile fare la faccia feroce. In maglietta verde militare si è materializzato l’ultima volta davanti alle telecamere, nella capitale oramai invasa dai ribelli, per smentire la sua cattura.
Accusato dal tribunale dell’Onu di crimini di guerra è rimasto fedele al padre fino all’ultimo. Il 23 ottobre, in un messaggio audio, dopo il linciaggio del colonnello, ha sentenziato: «Andate all’inferno, voi e la Nato».

L’hanno preso fra le dune del deserto meridionale decapitando sul nascere qualsiasi rivincita. Se arriverà vivo alla sbarra, a Tripoli o al tribunale de L’Aia, ne vedremo delle belle. Inforcherà i suoi occhialini trendy e terrà banco, magari rivelando gli imbarazzanti segreti condivisi con il padre.

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