Su Netflix arriva anche il sesso. Ecco la vera storia del sito hot

Il film "Moneyshot" racconta l'hard in Rete e relative proteste. Che nascono (in parte) dall'anticapitalismo

Su Netflix arriva anche il sesso. Ecco la vera storia del sito hot

«Mi dà il Corriere della Sera mmm... Il Sole24ore... e... Le Ore». Erano gli anni Ottanta, il giornalaio capiva, e la rivista porno la metteva dentro i quotidiani seri. Nel frattempo arrivano i Vhs, i videonoleggi, e la sezione porno era separata da una tendina rossa, intorno alla quale si girava fingendoci interessati a Truffaut e quando nessuno vedeva dentro. Ma internet, poco meno di due decenni dopo ha cambiato tutto, e come per la musica, e per il film, anche il porno ha subito una rivoluzione.

Ve ne parlo perché è appena uscito Moneyshot: la storia di Pornhub, docufilm appena uscito su Netflix. In realtà di Pornhub dice poco, è il classico documentario semi-investigativo con interviste doppiate in voiceover, e si concentra soprattutto su MindGeek, la società che controlla molti siti tra cui Pornhub. Nella prima parte le interviste sono a pornoattrici, o Sex Workers, la cui vita è stata emancipata proprio da Pornhub. Non più sfruttamento, ma libertà di gestirsi il lavoro perfino da casa, come su Onlyfans. È la parte liberale del porno, un do ut des senza figure losche alle spalle.

Ma il documentario prende poi a indagare (diciamo così, all'acqua di rose) il grosso problema che ha coinvolto Mindgeek, in seguito a casi di pedopornografia caricati su Pornhub illegalmente. In realtà la regista Suzanne Hillinger si mantiene equidistante, forse troppo. Non è vero che Mindgeek se ne è fregata, il problema è che è difficile controllare migliaia di video caricati al giorno, ci vorrebbe un esercito. Appena veniva trovato un video illegale, veniva rimosso, ma chi lo aveva caricato la faceva franca. Finché non si è deciso di accettare caricamenti solo da account verificati (come in realtà doveva essere fin dall'inizio, diciamo la verità, e qui forse Mindgeek ci ha marciato). Il problema è che Internet è una cosa complessa e di difficile controllo, ma anziché cercare di tenersi super partes io una riflessione finale diversa l'avrei fatta. Orribili foto e video pedopornografici si trovavano tranquillamente dei primi anni 2000 quando niente era regolamentato e Internet era un selvaggio West. Bastava avere, per esempio, un programma come eMule, e ti trovavi senza volere un video pedofilo anche se credevi di scaricare la Quinta di Beethoven.

Oggi è diverso, e vi sfido di andare su Pornhub e trovare materiale del genere. Ma anche su altri siti porno. La pedofilia c'è ancora su internet, ma passa nel dark web, passa attraverso mailing list private, passa attraverso uno spazio torbido in cui è difficile entrare e arrestare senza sofisticate indagini e con i mezzi appropriati, da Fbi. Quando c'è stata l'era dell'illegalità nessuno se ne accorse, gli utenti si scaricavano tranquillamente materiale illegale tramite il peer-to-peer.

Ma un altro aspetto mi ha colpito personalmente, unica parte utile di questo docufilm che non ti dice niente di nuovo e è discretamente noioso, con queste che parlano, parlano, parlano: le società che hanno fatto causa a Pornhub, o meglio a Mindgeek, organizzando manifestazioni in varie piazze del mondo, non erano solo per combattere la pedopornografia, ma associazioni di estremisti religiosi, il cui intento era togliere completamente la pornografia da Internet. Incluse le sex workers, che non fanno niente di male, incluse le pornostar, e anche le coppie amatoriali che decidono di condividere un video privato magari per monetizzare un po', o anche solo per esibizionismo.

Il dito puntato sul fatturato di quattrocento milioni di Mindgeek di per sé non dice niente, è ovvio che sia così, ma nell'accusa c'è un anticapitalismo di fondo.

Concludo con un esempio che non è porno ma le polemiche sono state le stesse: la Siae voleva più soldi da Meta, e Zuckerberg a un certo punto si è alzato dal tavolo e li ha mandati a quel paese, con il risultato che solo in Italia, grazie a Siae, gli utenti, ma perfino gli stessi cantautori, non possono pubblicare spezzoni dei propri brani per farsi promozione. Né musica italiana (che uno avrebbe detto vabbè, mi spiace ma andiamo avanti) né internazionale, perché Siae fa da rappresentante anche alla musica straniera.

Commenti: ah, queste multinazionali avide! Davvero? Io pensate che ero convinto che fosse la Siae a pagare Meta, perché appunto su Instagram promuovi un brano pubblicandone uno spezzone, non è che ti metti a ascoltare la canzone su Instagram. Oltretutto queste multinazionali che usate (incluso Pornhub) vi mettono a disposizione delle piattaforme di cui usufruite gratuitamente (eh, ma loro ci prendono i dati! E allora, che te ne frega? Mica sei James Bond).

In ogni caso togliere la pornografia su internet è impossibile, e meno male. A me personalmente Pornhub ha tolto la necessità di dover fare la fatica di fare sesso con una donna vera. C'è chi lo fa per me, è giusto che sia pagato, come è giusto che Mindgeek sia una multinazionale. Vanno aumentati i controlli, e lo stanno facendo. Ma, ripeto, mai trovato, per sbaglio, un video pedopornografico su Pornhub.

Se poi vogliamo davvero trovare donne sfruttate, non tutelate, magari con un pappone alle spalle, basta farsi un giro in macchina sulla Salaria, o in una strada analoga di una città dove vivete. Lì c'è ancora molto da lavorare per portare il tutto alla legalità e evitare lo sfruttamento.

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