Ma sugli americani fa più colpo un McCain al supermercato

Ma gli europei non votano e gli americani sì. Non solo, ma negli ultimi tempi gli americani tendono a votare non solo in modo diverso dagli europei, ma contro quegli aspiranti alla Casa Bianca che piacciono troppo alle folle e ai leader dell’altra parte dell’Atlantico. Capitò quattro anni fa a John Kerry, trionfatore virtuale dalla parte sbagliata di un oceano sempre più largo. Potrebbe capitare anche a Barack Obama, pur molto più eloquente ed attraente anche per le novità importanti che egli annuncia e incarna. Per lo meno è quello che prevedono molti politologi e «psepologi» (scienziati dei comportanti elettorali).
Obama è andato in Europa un po’ per necessità e un po’ per scelta, un po’ per recuperare un ritardo e un po’ per impadronirsi delle notizie di una settimana abbondante: in forma ufficiale non c’era mai stato e non se n’era occupato troppo neppure come presidente di un’apposita sottocommissione senatoriale. Prima che in Europa, del resto, si era dovuto recare nel Medio Oriente: prima il dovere, poi il piacere. Ha avuto momenti difficili a Tel Aviv, ha suscitato interesse e simpatia a Kabul, ha addirittura dato l’impressione di «sfondare» a Bagdad. Ha «chiuso» in tono sostanzialmente minore a quattr’occhi con un premier britannico molto cauto e in più depresso dall’ennesima batosta elettorale che gli fa incombere la necessità di convocare i comizi per chiedere una fiducia che oggi come oggi gli sarebbe negata. Si era destreggiato il giorno prima in Francia, dove piace molto di più all’uomo della strada che all’uomo dell’Eliseo. E anche l’apoteosi di Berlino è stata in qualche modo bilanciata dalla ritrosia della Cancelliera, cui non garbava affatto l’idea di essere trascinata in una campagna elettorale americana.
Obama ha auspicato a Berlino che altri muri cadano, soprattutto quelli costruiti in Occidente. È un tema che risuona, ma che suscita anche perplessità in un’America che è sì scontenta di Bush e della avventura irachena, ma che sempre vibra quando le corde toccate sono la «sicurezza nazionale» e il suo corollario, l’«unilateralismo». Metterlo in discussione può essere controproducente, soprattutto se a farlo è il giovane senatore che appena nove giorni dopo la strage terroristica di Manhattan pronunciò un discorso del tutto controcorrente, invitando l’America alla cautela e alla misura della rappresaglia, mettendola in guardia contro una «guerra di civiltà». Non era candidato alla Casa Bianca, dopo ha parlato in toni diversi, a tratti si è sforzato di trovare una linea comune.

Ma nel calore della sua oratoria kennediana egli torna alle proposte e ai sentimenti fondamentali. Alimentando così i sospetti dei critici e, forse, i dubbi degli americani qualsiasi che sono andati a fare shopping in compagnia di John McCain.

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