Rodolfo Parietti
da Milano
Il nuovo sceriffo della politica monetaria americana è arrivato in città, ma le pistole restano - almeno per il momento - nel fodero. Nella sua prima uscita con la stella da presidente della Federal reserve, ieri davanti al Congresso Usa, Ben Bernanke ha accuratamente evitato di calcare i toni. Nessuna drammatizzazione delle pressioni inflazionistiche, che pure vi sono essendo legate agli alti prezzi dellenergia e a una crescita economica ancora solida; e nessun allarme rosso per gli squilibri della bilancia delle partite correnti, oppure per la curva dei rendimenti dei Treasury. Insomma, una situazione congiunturale sotto controllo che, comunque, «potrebbe rendere necessarie nuove strette sui tassi». Luso del condizionale indica prudenza, ma al tempo stesso lascia alla Fed ampi margini di manovra sul versante della conduzione della politica monetaria. E qualche incertezza di fondo poco gradita ai mercati, anche se è difficile ipotizzare già nella riunione di fine marzo uno stop alle strette al credito (14 consecutive dallestate 2004).
Al debutto «in società», Bernanke si è rivelato per quel che è: un uomo danalisi, talmente attento alle cifre da utilizzarle come strumento di comunicazione. Mentre il presidente parlava alla Camera, la Fed ha comunicato alcune stime-chiave: dal Pil, atteso in crescita del 3,5% circa nel 2006 e tra il 3 e il 3,5% nel 2007, allinflazione, attorno al 2% questanno e compresa lanno prossimo in un range tra l1,75 e il 2%; fino al tasso di disoccupazione, previsto tra il 4,75 e il 5% nel 2006 e nel 2007. Ciò ha consentito allex capo dei consiglieri economici di Bush di rammentare che «nuove iniziative di politica monetaria dipendono dallandamento dei dati economici». Non è unovvietà: è piuttosto un modo di segnalare come, più delle parole, saranno appunto le cifre a suggerire la rotta della Fed. E questa impostazione sembra marcare la prima differenza rispetto alla lunghissima gestione Greenspan.
La seconda, potrebbe essere lintroduzione di un target dinflazione, fortemente osteggiato dal Maestro. Ieri Bernanke non ne ha fatto menzione, ma nella parte centrale del suo intervento non è mancata una sottolineatura sulla dinamica dei prezzi. «Mentre da una parte la buona notizia è che linflazione di lungo periodo appare ben ancorata - ha spiegato - dallaltra parte la crescita robusta della domanda aggregata potrebbe portare a un aumento eccessivo della produzione e in ultima analisi, in assenza di unadeguata politica monetaria, a ulteriori pressioni inflazionistiche sui prezzi». E così, se la Fed ha compiuto «un progresso sostanziale» nellallentare la precedente politica accomodante, non sono da escludere «nuove strette» al costo del denaro, attualmente al 4,5%. Gli analisti puntano su tassi al 5% entro la fine dellanno.
Quanto alla crescita economica, Bernanke si è mostrato cautamente ottimista nonostante gli alti costi dellenergia e il surriscaldamento del mercato immobiliare («destinato a frenare»), mentre ha negato correlazioni tra linversione della curva dei rendimenti dei titoli del Tesoro Usa e larrivo di una recessione.
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