Il bilancio è ancora parziale, ma racconta già di 1.100 morti, un numero almeno doppio di feriti e ancora più dispersi. Padang è la città più importante di Sumatra, in Indonesia: 960mila abitanti, stretti fra terra e mare. 960mila persone che, dopo il terremoto di mercoledì, 7,6 gradi della scala Richter, ieri notte hanno vissuto un nuovo incubo: un'altra scossa, questa volta da 6,8 gradi, con un epicentro a circa 150 chilometri dal precedente (fra le province di Jambi e Bengkulu) che ha reso ancora più critica la situazione. Il conteggio delle vittime è andato avanti tutto il giorno, inesorabile: 467 la mattina, 770 il pomeriggio, 1.100 nell'ultima stima del responsabile per gli affari umanitari dell'Onu John Holmes. Una cifra destinata ad aumentare ancora, man mano che i soccorsi scaveranno fra le macerie.
Una prima squadra di esperti è già arrivata nella città e si è messa al lavoro; domani ne dovrebbe arrivare un'altra, per coordinare le attività delle agenzie del Palazzo di Vetro, nel tentativo di soccorrere quante più persone possibile. «Stiamo preparando un appello alla comunità internazionale per aiutare le vittime», ha spiegato Holmes, precisando quali sono le priorità: medicinali, benzina, cibo e materiali per costruire i rifugi per gli sfollati. Che sono tantissimi, perché a Padang è crollato di tutto, almeno 500 edifici, fra cui anche alcuni degli alberghi più lussuosi della città, quelli dove alloggiano gli stranieri.
Per ora, come ha raccontato da Giakarta, capitale dell'Indonesia, Luigi Diodati, consigliere all'ambasciata, non ci sono notizie di connazionali deceduti. Una situazione che va però valutata con «prudenza», perché «non possiamo ancora escludere che ci fossero italiani di passaggio». Intanto, la rete della solidarietà si è, come sempre, attivata fra raccolte fondi telematiche della Croce rossa italiana e appelli dell'Unicef, mentre dall'Ue sono già arrivati tre milioni di euro in aiuti.
Le immagini che arrivano da Sumatra mostrano una Padang ridotta a spettrali cumuli di macerie. Il giorno dopo il terremoto che l'ha semidistrutta, è ancora parzialmente isolata, le linee elettriche non funzionano, così come i cellulari, mentre hanno ripreso ad essere utilizzabili, parzialmente, i telefoni fissi. Nonostante siano arrivati dei soccorsi «supplementari» e i primi rifornimenti, la situazione rimane caotica: mancano elettricità, acqua e cibo.
Ai distributori della benzina ci sono code infinite, mentre scarseggiano le scorte per i generatori che ancora tengono in vita gli impianti dei soccorritori e delle strutture d'emergenza. E, con il solito cinismo tanto incredibile quanto prevedibile, sono entrati in azione gli sciacalli, pronti ad approfittare della tragedia come di un'occasione per arricchirsi con saccheggi e crimini, mentre tutt'attorno prevale la paura.
Paura di nuove scosse, in una città dove è difficile trovare un edificio che non abbia subito danni e dove anche stanotte migliaia di persone dormiranno per le strade e in rifugi di fortuna. Paura perché, dopo i terremoti, dopo lo tsunami che ha spazzato Samoa e Tonga, la terra ha continuato a tremare fino al Perù. E se c'è chi, fra gli esperti, parla di sequenza di terremoti solo incidentale, alcuni già prevedono l'apocalisse. Come Kerry Sieh, direttore dell'Osservatorio Terra della Nanyang Technological University di Singapore, che ha paragonato le scosse di questi giorni al disastro dello shuttle Challenger, che all'inizio sembrava solo una fiammella ma che si era tramutato nell'esplosione di tutto il veicolo. «Succederà lo stesso anche a Sumatra, ma al rallentatore: la grande esplosione deve ancora arrivare», ha detto al Washington Post. Un'affermazione che si basa sul triste primato di Padang: dal 2000 ci sono stati in zona più di 30 terremoti, compreso quello che nel 2004 causò lo tsunami che nel giorno di Santo Stefano commosse il mondo facendo 200mila morti.
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