Marcello De Angelis
da Salisburgo
Gogo no Eiko. Una prima mondiale passata al Grossesfestspielhaus dal rispettoso raccoglimento alle calde insistite ovazioni, al termine, rivolte allottantenne Hans Werner Henze, presente in sala, altri festeggiamenti seguiranno a Berlino quindi, a Torino, per Settembre musica dove lopera verrà replicata, sempre in forma di concerto.
Ad assicurare il gratificante risultato ha contribuito senzaltro la superba prova dellOrchestra Rai del capoluogo piemontese, organico di tutto rispetto internazionale, soprattutto sul terreno impervio della musica contemporanea. Gerd Albrecht lo governava da par suo sul podio con lucidità di gesto, intelligenza musicale, comunicativa, frutto di una lunga esperienza professionale. Henze dipana con maestria strumentale una matassa drammaturgica peraltro inesistente (la fonte è Yoiko Mishima) filtrata più volte dallautore tanto da giustificare il titolo complessivo delle proposte Metamorfosi del mare, da Das verratene Meer del 1989 allattuale versione, in lingua giapponese. Il testo, in due parti, è opera di Hans-Ulrich Treichel.
Si tratta di un groviglio di situazioni amorose «a tre», là dove il cattivo è un ragazzino tredicenne, Noboru, appartenente a una setta nichilista. Lobiettivo contro cui si muove è il marinaio Ryuji, secondo marito di Fusako, sua madre che, tradendo il mare, per venire incontro alla donna, desiderosa di averlo tutto per sé, ha tradito il mito che se ne era fatto Noboru: il mare come metafora della virilità, della conoscenza, del rischio. Omero, con Ulisse, si ricicla nelluniverso narrativo. La gelosia del ragazzo si trasforma in rabbia, lammirazione in disprezzo. Tutto è simbolo, introspezione, paradosso. È Mishima. Si legge. Difficilissimo, forse impossibile, metterlo in scena. La condotta vocale si muove nellambito di una certa fissità rituale: liturgia della parola, altamente drammatizzata. Quando le voci si incrociano costruiscono un formidabile «contrappunto bestiale alla mente», per dirla con la celebre espressione barocca. Il fascino maggiore emana però dalla base strumentale, valorizzata dai bellissimi interludi tra una scena e laltra. Dominano le percussioni, dispiegate alla grande dallOrchestra di Torino con mirabolanti risultati ritmici. Belle e suggestive anche le sezioni solistiche (primo violino), gli interventi degli strumentini e gli ottoni. Perfette, quindi la resa fonica.
Apprezzabile la compagnia giapponese con qualche nota di merito. Per esempio il baritono Teruhiko Kamori.
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