Se ne è andato presto Massimo Rao, pittore visionario che era nato a San Salvatore Telesino, vicino a Benevento, il 6 gennaio 1950, e aveva trascorso una parte della sua operosa giovinezza, tra il 1976 e il 1981, a Bolzano. Morì infatti il 6 maggio 1996 a San Venanzo, in provincia di Terni. Il passaggio al nord fu per Rao un'apertura di orizzonte sull'arte tedesca che gli consentì una singolare miscela con la grande pittura italiana, rinascimentale, barocca. Ne è testimonianza esemplare l'invenzione di un dipinto come E venne un angelo, che rivela la sua colta fonte nel Seicento fiorentino e nella esperienza anacronistica di Fabrizio Clerici, Riccardo Tommasi Ferroni, Mario Donizetti.
Il suo è un vero e proprio sogno della pittura, che non ha tempo e non si misura con il presente. I dipinti come lo studio preparatorio per una più ampia composizione nella quale l'angelo emerge da uno scudo lunare e da un frammento di gusto classico sono testimonianze di un personalissimo surrealismo fondato su fonti classiche. I riferimenti sono alla pittura di Sebastiano Mazzoni e di Alessandro Rosi, ma anche a Johann Liss, pittore tedesco che maturò a Venezia. La pittura neobarocca di Rao è fatta di queste contaminazioni. Le sue curiosità e la ricchezza delle sue conoscenze gli hanno consentito una produzione ricca e variegata nella concentrazione del suo rifugio vicino a Terni, dove si era ritirato negli anni precoci della sua maturità, a Pornello San Venanzio, un piccolo paese fuori da tutti i mondi possibili, lontano da qualunque altro luogo, dove Rao in uno studio molto rarefatto, con pochi oggetti, con un ordine straordinario, disegnava, disegnava, disegnava prima ancora che dipingere, e disegnava con l'urgenza di chi sa di avere poco tempo.
Così racconta della sua vita: «San Salvatore Telesino, è il paese dove sono nato il 6 gennaio 1950, vicino a Benevento dove ho frequentato il Liceo Artistico. Molto presto, tutti i miei più lontani ricordi lo lasciano supporre, è avvenuto l'incontro con il sovrannaturale che si era mostrato una volta e che ormai, forse, ora, si annidava fra le pendici dei monti tutto intorno fitte di boschi impenetrabili a proteggere grotte, dominio assoluto di maliosi spiriti femminili... le ultime Ninfe? Poi gli studi alla Facoltà di Architettura di Napoli e sono stati gli anni della scoperta dei segni grandiosi ed estenuati della Città - Capitale e dell'anima contorta e guizzante di Bernardo Cavallino e del Ribera. Il capriccio per un esotismo al contrario ed altri eventi propizi mi hanno portato a vivere a Bolzano. Troppo mi erano piaciuti prima di allora Matthias Grünewald e Jan van Eyck per non desiderare di gettare così uno sguardo ai lontani fiumi del Nord. Ed è lì, sotto le azzurrine luci riflesse delle taglienti cime dei monti, che sono affiorati sicuri e dirompenti i segni già preconizzati che fanno la mia storia di pittore che prosegue ora, sotto auspici diversi, in una casa in cima ad un colle in Umbria, su tracce appena suggerite... L'Umbria è bellissima ma distante, attonita e silenziosa e il viaggio che ho intrapreso può continuare, qui, solo in un senso, verso me stesso».
La tecnica di Rao è veloce, la definizione del disegno sicura. L'artista ama i panneggi, gli ampi drappi, i turbanti, tutto ciò che è suscettibile di piega. Egli è rinascimentale, barocco, neoclassico e romantico, indifferentemente e sempre con talento, ma è soprattutto il pittore della luna. La luna che domina i suoi quadri in modo ossessivo, conturbante. La luna - a dirlo con Rossana Bossaglia - come altro volto delle figure, cioè come maschera; e maschera anche di sé, dal momento che l'altra faccia della luna ci è ignota; luna come interlocutrice dolce e infida dei solitari personaggi, sorridente nel suo inespugnabile silenzio.
Rao ha la necessità di sperimentare, di creare, di percorrere e - come egli stesso affermava - di ricercare con emozionata voluttà le strade d'accesso alle cose che oltrepassano la realtà. Ed è per questo che le figure che dipinge non fanno quasi mai nulla di preciso e di riconoscibile, loro semplicemente sono e stanno soltanto rappresentando e portandosi dietro e addosso, come tutti indistintamente facciamo, la loro vita, così com'è, sotto gli occhi di tutti.
«Rao è pittore difficile», scrive Ferdinando Creta, «acritico nella sua fedeltà all'immagine e alla tecnica tradizionale, pittore che richiede un avvicinamento lento, progressivo per un piacere sottile, intellettuale, eppure non d'élite.
Con il suo lavoro, evidentemente insieme con altri come Clerici, Annigoni, Ferroni, Donizetti, De Stefano, ha riaffermato, già in tempi non sospetti, il ritorno alla pittura». Le sue invenzioni lo rendono uno degli artisti più originali della sua generazione.
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