Svolta no global alla Farnesina Soldi all’Onu, ma senza ricevuta

Il governo Berlusconi aveva ridotto del 70% i contributi privi di controlli

Mario Sechi

da Roma

Ritiro dall’Irak e «nuovo multilateralismo». Il regime change alla Farnesina non poteva essere più traumatico. E se l’eutanasia della missione Antica Babilonia imbarazza e sconforta i militari del ministero della Difesa, il cambio netto di linea di politica estera e le manovre sotterranee intorno alla Cooperazione, per il ministero degli Esteri sono già da allarme rosso.
Viste le scelte operate da Romano Prodi, il colore non poteva essere più appropriato. Gli obiettivi concentrati sul ministro Massimo D’Alema infatti hanno tolto l’occhio di bue dei riflettori da Patrizia Sentinelli, viceministro agli Esteri con delega alla Cooperazione. La Sentinelli con un doppio salto mortale carpiato si è ritrovata in un posto chiave della Farnesina dopo aver calcato le scene politiche come capogruppo di Rifondazione nel Comune di Roma. Cinquantasei anni, no global, ha seguito con attenzione i vari forum internazionali: Seattle, Porto Alegre, Genova, tappe fondamentali del movimenti anti-globalizzazione. Alla Farnesina, il ministero più globale del governo, piomba dunque un viceministro che non vuole neppure un solo militare italiano in Irak, neanche per garantire la sicurezza alla eventuale task force di civili, perché per lei «è la situazione attuale di occupazione a rendere insicura l’area». In attesa di vedere Al Zarqawi placarsi di fronte al ritiro delle truppe, la Sentinelli con piglio deciso ha fatto sapere che no, la Cooperazione italiana così non va. «Dovremo valorizzare la struttura tecnica della Farnesina», ha spiegato, «quella Direzione generale della Cooperazione allo sviluppo che è stata smantellata in questi anni».
Belle parole, ma veniamo ai fatti. La Cooperazione è uno dei volani principali della nostra politica estera, serve a conquistare il consenso dei Paesi in via di sviluppo e nel risiko della riforma delle Nazioni Unite il loro appoggio è fondamentale per non perdere il treno dell’ingresso nel club del Consiglio di Sicurezza. Questo sarebbe per qualunque maggioranza un obiettivo politico serio, ma sul tavolo della Sentinelli è appena arrivato un dossier intitolato «La Cooperazione del governo che verrà» che sembra avere ben poco a che fare con i temi umanitari e molto con gli assetti di potere nella Farnesina. Il documento è firmato da operatori italiani che lavorano in organismi dell’Onu, ma i veri ispiratori sono tre dipendenti che lavorano all’Unità tecnica centrale (Utc) della Cooperazione allo Sviluppo della Farnesina: Luciano Carrino, Lodovica Longinotti e Bianca Pomeranzi. Sono loro a esprimersi sulla bontà dei progetti e sono loro a svolgere un ruolo determinante nella destinazione dei «contributi volontari» alle organizzazioni internazionali legate alle Nazioni Unite, in particolare al network del United Nations Development Programme (Undp).
Sulla voce «contributi volontari» il precedente governo aveva messo una lente: tali organizzazioni infatti raccolgono i contributi ma non presentano mai i rendiconti. Situazione singolare che il sottosegretario Alfredo Mantica aveva dipinto così: «C’è un mondo di consulenti e professionisti che gravitano intorno al ministero degli Esteri e che hanno tutto l’interesse a mantenere buoni rapporti con le Nazioni Unite». L’assenza dell’obbligo di presentare i conti è stata criticata anche dallo stesso presidente delle Ong italiane, Sergio Marelli: «C’è una forte carenza di strumenti di monitoraggio». Di fronte a tanta opacità il ministero degli Esteri il 16 febbraio scorso aveva ridotto con una delibera i contributi volontari del 70 per cento e scelto di destinare le risorse alle organizzazioni internazionali più piccole. Nonostante in Italia fosse stato il solo manifesto a trattare la questione con enfasi, la faccenda attraverso una rete italiana di informatori molto interessati è arrivata sulla scrivania del segretario generale dell’Onu Kofi Annan che il 2 marzo scorso scriveva all’ambasciatore italiano presso l’Onu, Marcello Spadafora: «Scrivo per esprimere la mia profonda preoccupazione riguardo la possibilità che il suo governo possa decidere di ridurre o di eliminare totalmente i suoi contributi volontari ai Fondi e ai Programmi delle Nazioni Unite nel 2006». L’assist di Annan serviva alla sinistra cooperante per marchiare la scelta del governo come «americana» e dunque contraria allo spirito del multilateralismo. Questo è infatti il filo conduttore del dossier all’attenzione del viceministro Sentinelli che denuncia «il bilatelarismo, sempre più aggressivo, rozzo e dipendente dalle scelte dei Paesi più forti all’origine della crisi attuale della Cooperazione». L’obiettivo del documento è chiarissimo: ingranare la retromarcia sullo stop ai contributi volontari che la Farnesina versa ai poco trasparenti organismi dell’Onu.
Così un gruppo di «onusiani» sta cercando di condizionare la politica estera italiana e la Sentinelli, quando parla di valorizzare la «struttura tecnica della Farnesina» sembra essere sulla loro scia. Mentre Massimo D’Alema a Vienna cerca di barcamenarsi nel difficile compito di apparire di sinistra senza scontentare gli alleati e Israele (dall’Irak alla questione palestinese), la Sentinelli può liberamente muoversi e sfoggiare programmi in libertà fino ad affermare che bisogna portare i fondi per la Cooperazione allo 0,7 per cento del prodotto interno lordo. Sarebbe una cifra pari a circa 8 miliardi di euro, peccato che il solo bilancio della Cooperazione attualmente sia di 382 milioni di euro. Con i contributi delle altre istituzioni si arriva a circa 1,2 miliardi di euro. Mancano ancora due di miliardi di euro per raggiungere l’obbiettivo (impossibile) del rapporto aiuti/Pil pari allo 0,33%.

Tanto per fare un paragone, nel bilancio di previsione della Difesa per il 2006 la sola “funzione difesa” (esercito, marina e aeronautica) ha bisogno di risorse per circa 12 miliardi di euro. E non bastano.
Abbiamo l’impressione che la Sentinelli abbia bisogno di una calcolatrice e di qualche rudimento di politica estera. Riuscirà il ministro Massimo D’Alema a riportarla sulla terra?

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