La talebana della morale dà una mano agli amici con il vizietto della truffa

La Serracchiani ha nostalgia dello Stato etico. Ma fa finta di nulla se i suoi ne fanno di tutti i colori

La talebana della morale dà una mano agli amici con il vizietto della truffa

Con il suo faccino da eterna ragazza, Debora Serracchiani è la longa manus di Matteo Renzi sul Partito democratico. Lui è il segretario-premier, lei una dei vice. Come il capo, che siede contemporaneamente a Palazzo Chigi e al Nazareno, detiene una doppia poltrona: oltre che numero due del Pd è governatrice del Friuli Venezia Giulia. Sorridente e perbenino, la frangetta del Pd rinserra le file del partito, dichiara a più non posso davanti alle telecamere e tenta di tenere a bada la minoranza interna.Del resto, lei la Ditta la conosce bene: Debora era entrata nel Pd con Dario Franceschini, è passata armi e bagagli a sostenere Pierluigi Bersani («mi è simpatico» fu il suo coming out) e al culmine di questa peregrinazione si è sistemata alla corte di Matteo Renzi. Guarda caso, da quando ha la tessera del partito si è schierata con il segretario in carica. Il che dovrebbe mettere sul chi vive il leader attuale: appena la sua stella si appannerà, Debora Serracchiani gli toglierà il suo appoggio. Sempre che non sia lei stessa a fargli le scarpe.La sua idea di partito è chiara. L'ha espressa qualche giorno fa in una lezione alla Scuola di formazione politica del Pd: «Noi non possiamo pensare solo all'economia, alla crescita, ma abbiamo il dovere morale di pensare anche alla crescita morale del Paese». Debora la moralizzatrice. Un Paese da rimodellare, più che da riformare, e un unico sistema di comportamenti da seguire, secondo i dettami dello stato etico e, in fondo, dei totalitarismi.È un'idea che ci riporta indietro di decenni a conferma che il Dna della sinistra, nel passaggio dal Pci al Pd, non si è modificato. Togliatti era «il Migliore».

Berlinguer lanciò la campagna sulla «superiorità morale» rispetto alla Dc corrotta. I dirigenti delle Botteghe Oscure si consideravano fatti di un'altra pasta rispetto ai trafficoni scudocrociati. Ma appena hanno avuto un po' di potere le loro mani pulite si sono immediatamente sporcate, come documentano tante indagini giudiziarie. Anche i pm di Tangentopoli coltivarono la medesima ambizione: non appena punire i colpevoli ma moralizzare l'Italia, estirpare la corruzione, entrare nella testa della gente e cambiargli il modo anzi, il verso - di pensare.Cambia verso. Era lo slogan di Matteo Renzi alle primarie che l'hanno condotto alla segreteria Pd. Coerente con quel motto e con l'obiettivo di una «crescita morale», Debora Serracchiani ha cambiato idea più volte nella carriera politica. Del segretario di riferimento si è detto: all'inizio Renzi le stava cordialmente antipatico, era lei l'innovatrice, il volto giovane di un partito nato vecchio; lei era stata investita in diretta da Franceschini durante un'assemblea dei circoli Pd nel 2009. Ma quando Matteo ha trionfalmente preso il potere interno, non ci ha messo molto a cambiare verso prima di essere rottamata ancora nella verde età.Era parlamentare europea, dove non brillava per assiduità delle presenze (67ma su 73 eurodeputati italiani, 588ma sui 736 complessivi), e si è dimessa per farsi eleggere come presidente della regione autonoma. Era contrarissima a porre un freno alle intercettazioni quando la vittima era Silvio Berlusconi, ma è favorevolissima a imporre pesanti limiti ora che a Palazzo Chigi si trova il suo diretto superiore e il partito è investito da scandali come Roma capitale svelati proprio da intercettazioni compromettenti.Nel 2011 l'allora eurodeputata scolpì questo editto sulla bacheca Facebook: «Sulle intercettazioni non possiamo andare contro la Corte di giustizia europea che pone il diritto di cronaca prima di tutto, anche prima del diritto alla privacy dei politici». Quattro anni e altrettanti premier dopo, ecco che cosa ha detto Debora per favorire la crescita morale degli italiani: «Va trovato un equilibrio su quello che viene pubblicato a tutela della privacy e di persone che non sono indagate».

Nella nuova classifica dei diritti serracchianici, quello alla riservatezza aveva inopinatamente rubato il posto a quello di cronaca.È il potere del potere: lo conquisti e lui ti fa cambiare idea. A Serracchiani è successo così. Anche sul garantismo ha compiuto un'inversione a U. Intransigente con gli avversari, conciliante con gli amici. Nella campagna elettorale per le regionali aveva chiesto ai candidati di sinistra di consegnarle un modulo di dimissioni in bianco da far valere in caso di guai giudiziari. Passa un anno e un assessore, il piddino Gianni Torrenti, viene indagato dalla procura di Trieste per truffa aggravata ai danni della regione di cui è amministratore: Debora gli toglie le deleghe, salvo restituirgliele un mese e mezzo dopo nonostante che all'inchiesta della procura se ne fosse aggiunta una seconda della Corte dei conti regionale. E nessun passo indietro è stato compiuto dai quattro consiglieri del Pd, tra cui il presidente del consiglio regionale, Franco Iacop, condannati dalla Corte dei conti (come ex assessori della giunta Illy) a risarcire 700mila euro alla regione per aver venduto un immobile a prezzo d'affezione.L'ultimo scivolone sul crinale del doppiopesismo risale alla scorsa estate, in una giornata particolare, quella in cui il Parlamento ha negato l'arresto del senatore Ncd Antonio Azzollini.

Mentre il vicesegretario Pd Debora Serracchiani si vergognava del voto garantista («Francamente credo che ci dobbiamo anche un po' scusare, non abbiamo fatto una gran bella figura»), il governatore friulan-giuliano Debora Serracchiani nominava un rinviato a giudizio (abuso d'ufficio e truffa) come commissario straordinario della fondazione Villa Russiz travolta dai debiti. Evvai con la moralizzazione. A giorni alterni.

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