Tav, la grande opera del Prof: buttati 32 milioni

Bloccare i cantieri è costato dieci milioni fino ad ora. 7 milioni già pagati per la fresa

Gabriele Villa

nostro inviato a Torino

Stato confusionale. Soltanto una cosa è certa: il governo Prodi non deve avere le idee particolarmente chiare sul fronte delle grandi opere. Il dubbio sorge spontaneo se guardiamo gli avvenimenti che si sono accavallati in questi giorni. L’ultima novità sta nel fatto che, secondo Karel Van Miert, coordinatore per la commissione europea di quello che sarà il «corridoio di collegamento 1», da Berlino a Palermo, i fondi comunitari destinati alla realizzazione del Ponte sullo stretto di Messina saranno dirottati per finanziare l’ormai fin troppo famosa Tav, la linea ferroviaria ad alta velocità, Torino-Lione. Se dovessimo credergli l’Italia dunque non perderebbe i fondi europei dopo la decisione del governo Prodi, ratificata dal Parlamento, di bocciare l’infrastruttura tra Sicilia e Calabria, ma se la caverebbe in corner.
E qui cominciano a sorgere i dubbi sulla lucidità di Prodi e del suo esecutivo. In altre parole è vero che il ponte sullo Stretto di Messina non si farà? In realtà l’atto che ferma (con 272 voti contro 234) l'iter avviato dal precedente governo Berlusconi è una semplice mozione, presentata dal capogruppo dell’Ulivo, Dario Franceschini. Ma lo stesso ministro delle Infrastrutture, Antonio Di Pietro, si è affrettato subito a precisare che «il progetto non è stato smontato».
In attesa di vederci chiaro prepariamoci comunque a sborsare un sacco di quattrini perché la marcia indietro del governo Prodi sul Ponte, che aveva già da mesi fermato a mezz'aria le matite degli ingegneri, rischia adesso di costarci una penale di almeno 300 milioni di euro con Impregilo, capogruppo della cordata di imprese vincitrici della maxicommessa da oltre 4 miliardi di euro del progetto. Perciò l’esecutivo sta cercando di trovare in queste ore un possibile accordo, puntando a realizzare le opere collaterali viarie e ferroviarie sulle sponde calabrese e siciliana. Ma con Prodi e i suoi prodi siamo diventati specialisti nel buttare quattrini al vento, tanto che è ancora più salato il conto che presenta al Paese ogni mese il cantiere fermo della Tav. I lavori bloccati in val di Susa costano un milione al mese. E, dall’8 dicembre, quando il cantiere fu posto sotto sequestro dopo disordini e contestazioni varie, fanno dieci milioni di euro. Poi c’è un «forfait», di quindici milioni di euro, frutto di una transazione, per retribuire il personale della Cmc, la Cooperativa muratori e cementieri, di Ravenna, che non è ancora stato praticamente impiegato e per onorare nel contempo i vari costi di appalto e di contratto. Poi ci sono 7 milioni già spesi per inserire, nel nutrito parco di macchine e apparecchiature ad alta tecnologia, anche la «super-fresa», giunta appositamente dagli Stati Uniti, rimasta anch’essa inattiva. Totale: trentadue milioni di euro, persi per aspettare.
Una cifra approssimata per difetto, che non viene confermata né smentita da Ltf, il consorzio italo-francese, Lyon-Turin Ferroviaire, che della Tav è il principale attore e promotore. Nel frattempo, come ha osservato recentemente, colta da un sussulto di tardivo pentimento, la governatrice del Piemonte Mercedes Bresso, l’alta velocità non ha tempo d'aspettarci. «Mentre noi parliamo e parliamo - ha detto - i concorrenti si moltiplicano e si mobilitano». Il pericolo cui allude la Bresso è il progetto messo a punto dalle ferrovie svizzere che disegna il collegamento ad alta velocità tra la galleria del Leuteschberg, Ginevra e Lione. Dal tunnel si taglia poi a Nord per inserirsi tranquillamente nel famoso corridoio 5, che raggiungerà poi Kiev.
Messa alle corde dall'impasse dei suoi stessi compagni di partito, la Bresso si ingegna. E per salvare il salvabile propone un tracciato alternativo, o meglio una sorta di appendice alla Torino-Lione che, deviando la linea in Val Sangone toccherebbe il centro logistico di Orbassano per poi entrare in città. Un progetto che, secondo la presidente, eviterebbe di realizzare il tunnel che spacca la Val Susa, sostituito da una galleria che non uscirebbe più a Venaus ma più in alto, sopra Chiomonte. Volete sapere che cosa pensano gli amministratori locali di questa alternativa? Ne pensano già tutto il male possibile.

Antonio Ferrentino, leader politico della protesta, nonché presidente della comunità montana bassa Val Susa è lapidario: «Sospendiamo il giudizio. Anche perché restiamo convinti che per soddisfare l’aumento del traffico basta il potenziamento della linea ferroviaria esistente».

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