Teatro L’amore di Clitennestra secondo la Yourcenar

Una stanza tappezzata di fogli. Parole leggibili a fatica. Una tana, forse. O più probabilmente un ricettacolo dell’anima dove dare corpo a ombre, passioni, follie, misfatti indicibili. Quelli, per intenderci, rievocati da Clitennestra nell’intenso monologo che, intitolato alla complessa figura mitologica, Igor Mattei (regista) e Marina Biondi (palpitante interprete) hanno costruito a partire da un breve racconto di Marguerite Yourcenar pubblicato nella raccolta Fuochi. Per capire a fondo la forte tensione emotiva che anima questo poetico e scabroso flusso di pensieri, bisogna risalire proprio al libro della scrittrice belga; silloge intrisa di classicità e dedicata interamente all’amore al femminile, alle sue declinazioni più estreme e più dolorose (lo sguardo dell’autrice si posa su, tra le altre, Fedra, Antigone, Saffo). Rispetto alla scrittura narrativa (tradotta da Maria Luisa Spaziani), il merito principale di questo bel lavoro è quello di rielaborare in termini ancora più moderni, e se vogliamo più pietosi, la materia già umanissima della Yourcenar. Abito muliebre sotto una pesante uniforme militare, che allude allo spirito guerriero di Agamennone, il marito/eroe a lungo atteso, Clitennestra/Biondi ha il volto truccato come un’attrice dell’Opera di Pechino, come una figura esotica che sembra attinta all’iconografia del film Addio mia concubina. Ovverosia, come un volto/mondo in cui possono addensarsi i sentimenti più controversi, le pulsioni più ambigue e terribili. D’altronde qui ella rievoca l’omicidio dello sposo e lo fa sottoponendosi ad un auto-processo necessario soprattutto a purificare la sua anima di un fardello troppo pesante. Nessuno la giudica se non che lei stessa. Nessuno sguardo, nessuno orecchio le è veramente indispensabile. Perché questo straparlare le serve solo per rievocare la sua follia d’amore, il tradimento del marito (fuggito in guerra, macchiatosi del sacrificio della figlia Ifigenia, infedele al talamo nuziale), per giustificare se stessa, e darsi - se mai sia possibile - un po’ di pace. La brava attrice, guidata dalla sensibile regia di Mattei, segue il suo personaggio con morbida alternanza di registri. Il valore simbolico di certi oggetti e di certe azioni (l’acqua, il cibo, le candele, le sedie, la cena), insieme a quel barbarico ruggito di dolore che la sospinge da dentro, ci fanno pensare ad una Anna Cappelli (eroina cannibale di Annibale Ruccello) ritagliata nel mito, ritagliata nel sempre.

Perché da sempre la passione delle donne può arrivare a uccidere, a mangiare il corpo dell’amato, a ingoiare il proprio amore. Pur di lenire, anche per un breve momento, la ferita dell’abbandono.
Al teatro Argot fino a domenica. Tel: 06.5898111.

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