"Romolo Valli, l’attore che sapeva fare tutto"

Il regista e amico Pier Luigi Pizzi ricorda un grandissimo del nostro teatro a cento anni dalla nascita

"Romolo Valli, l’attore che sapeva fare tutto"
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Uno dei più grandi attori della seconda metà del '900. Ha fondato la più importante compagnia teatrale del dopoguerra; recitato in alcuni dei capolavori del cinema italiano, diretto il festival teatrale e il teatro privato più prestigiosi del Paese. Cento anni fa, il 7 febbraio 1925, nasceva Romolo Valli. «Colto, spiritoso, affascinante - commenta l'amico di una vita Pier Luigi Pizzi, celebre scenografo e regista - sempre all'altezza, qualsiasi cosa facesse. Se avesse voluto diventare premier, o Papa, ci sarebbe riuscito».

Ammirato dalla critica, adorato dal pubblico. Romolo Valli metteva tutti d'accordo. Com'è stato possibile?

«Era un grande osservatore della natura umana. E travasava nei suoi personaggi, coscientemente o meno, quanto aveva vissuto. Così il suo Malato immaginario aveva certi tic che erano stati di Eugenio Montale o Luchino Visconti. E poi poliedrico: se il suo Padre nei Sei personaggi fu straziante, il Malvolio nella Dodicesima notte era poetico, ineffabile. Raisonneur implacabile in Così è (se vi pare) ma di una comicità trascinante in Feydeau. Razionale e tagliente nel Giuoco delle parti, profondamente toccante in Enrico IV».

Credeva nel ruolo civile dell'attore, che definiva «sacerdote laico di un rito collettivo».

«Sì. E ne ebbe clamorose riprove. Durante l'Enrico IV, alla battuta del protagonista conviene a tutti far credere pazzi certuni, per avere la scusa di tenerli rinchiusi, un ragazzo dalla platea gridò Viva Sacharov!. Con Pirandello lui aveva dato voce al dissidente sovietico e premio Nobel, imprigionato in manicomio».

Parlare di Romolo Valli significa parlare di Giorgio De Lullo e della ventennale Compagnia dei Giovani.

«Una perfetta simbiosi umana e professionale. Romolo attore concreto ed empatico; Giorgio regista teso all'astrazione, introverso, solitario. Noi Giovani cercavamo la bellezza. Rilanciammo Pirandello e portammo al successo Giuseppe Patroni Griffi, con titoli quali D'amore si muore o Metti, una sera a cena».

Solo al cinema, forse per la mancanza di un adeguato physique du rôle, Valli non fu mai protagonista.

«Ma i suoi personaggi di contorno erano formidabili. Pensi al prete del Gattopardo, al padre del Giardino dei Finzi Contini, al traditore di Giù la testa o al padrone di Novecento. Solo Fellini gli offrì un protagonista: in Boccaccio 70. Ma poi prese Peppino De Filippo, che faceva più cassetta. E Romolo ne soffrì».

Fu anche operatore culturale. E talmente impegnato, in questo secondo ruolo, che quando entrava in scena per recitare sospirava: «Finalmente mi riposo!».

«Era un organizzatore perfetto. Con la sua direzione artistica il Festival di Spoleto visse anni memorabili - basti ricordare la storica Manon diretta da Visconti - e il Teatro Eliseo realizzò stagioni irripetibili.

Finché, all'apice della maturità espressiva, a neanche cinquantacinque anni, mentre era alla guida ebbe forse un'emorragia interna che lo fece svenire. Andò a schiantarsi contro un muro. Quant'era amato si vide al funerale. Migliaia di persone. E tutte in lacrime».

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