Il porno e il web, o tutte due insieme: sarà questo il futuro dei telefilm occidentali? La domanda s’associa appieno con il Telefilm Festival inaugurato ieri a Milano (proiezioni e tavole rotonde fino al 3 luglio allo SpazioCinema Apollo). Fin dalla conferenza stampa, infatti, l’attenzione di molti, se non di tutti, si è appuntata su Xanadu e su Freaks, il primo telefilm francese con inserti porno, il secondo produzione italiana a zero budget visibile solo su Internet, dove la prima serie ha riscosso share da brividi.
Naturalmente intorno a Xanadu - trasmesso in Francia tra mille polemiche sul canale culturale Arte - l’aria era già surriscaldata. Pochi giorni fa Regione Lombardia, tra i patrocinatori del festival, aveva chiesto di modificare la frase di presentazione sugli inviti - «Lacerante ritratto a sfondo porno di una famiglia sull’orlo di una crisi di nervi» - dal momento che non era «conforme con le direttive regionali sulla comunicazione esterna». Ne è uscita una querelle ripresa dai quotidiani. «Alla fine abbiamo deciso di lasciare la frase così, perdendo il patrocinio» ci ha detto Leo Damerini, uno dei direttori artistici.
Gli scrupoli della Regione erano forse eccessivi: abbiamo visto la prima puntata e Xanadu è imbarazzante solo per l’incredibile serie di luoghi comuni che i francesi (la cui deriva porno-intellò sta diventando una malattia dell’anima, a partire dalle due Catherine, Breillat e Millet, fino a certe pagine di Houellebecq) sono riusciti a inanellare. Il telefilm è la storia della famiglia Valedine e della loro casa di produzione di film porno, la Xanadu, in crisi perché non asseconda gli ultimi trends del mercato (che preferisce il genere «gonzo»): c’è il padre-patron fascinoso e mezzo saggio (occhi chiari, savoir faire e compagna più giovane di trent’anni), il figlio maggiore represso che vorrebbe svecchiare l’azienda epperò non riesce a «uccidere il padre» né a soddisfare la moglie, il fratellino minore eccentrico e artistoide che gira «porno di spessore», adolescenti problematici con il fucile in mano alle mostre d’arte (stile Columbine School), l’attore-bruto che non riesce ad avere un’erezione quando gli vien detto, per finta, che un’attrice con cui lavorava è morta.
Il tutto condito da visini femminili francesi col nasino all’insù, piani sequenza scontati (la donna che geme, ma poi la videocamera allarga e si scopre che sta facendo cyclette), vestaglie che vedo non vedo, infine vedo, e poi gli inserti porno. Qualcosa viene mostrato: meno di Idioti di Lars von Trier, più di Blackout di Abel Ferrara.
D'altronde, il «più reale del reale» della pornografia è ormai il desiderio neanche troppo segreto dei decadenti registi occidentali: Jean Baudrillard ha scritto a proposito alcune osservazioni memorabili. Ma se proporre in dettaglio scene sessuali al cinema è ancora un problema, in tivù è più facile, perché il borderline, dopo una certa ora, garantisce ascolti affidabili: da Californication con David Duchovny al lesbico The L Word, passando per Secret diary of a call girl, negli ultimi anni sul nostro piccolo schermo è stato tutto un fiorire di situazioni porno soft. Xanadu, ovviamente, doveva abbassare ancora di più l’asticella del pudore: vi troviamo così scene di nudo maschile e amplessi che solo una gestione prudente delle inquadrature ha allontanato dall’hardcore. Ma il telefilm, alla fine, rimane un furbo racconto da mestieranti su situazioni ormai vecchie e banali, falsamente drammatiche e introspettive («Quelle, comunque, che gli Stati Uniti non riescono più a raccontare» ci ha detto Leo Damerini).
Il resto del Festival, comunque, promette bene: Game of Thrones (dai best seller di George Martin, Mondadori) e Falling Skies (ottima confezione di Steven Spielberg) ci raccontano di due Americhe diverse e contrapposte, in un momento critico in cui i telefilm statunitensi subiscono un record di cancellature (nel decennio scorso tra i primi cinquanta programmi televisivi yankee più visti c’erano 45 telefilm, oggi sono 30; in Italia sull’intero palinsesto i telefilm occupano oggi il 13%, era
il 22% nel 2008).E poi c’è il fenomeno tutto made in Italy di Freaks: quattro attori/autori «nativi digitali», una vampiresca Roma alla Twilight, superpoteri alla X-Men, colonna sonora perfetta. E il web è conquistato.
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