Non è che il sondaggio di Renato Mannheimer abbia rivelato, per quanto riguarda gli umori degli italiani nei confronti di Romano Prodi, qualcosa di nuovo e di inatteso. Chiunque bazzichi un qualsiasi bar e dia retta ai mugugni che vi circolano sa per certo che l’impopolarità del premier è a livelli raramente raggiunti, dopo la nascita della Repubblica, dai suoi predecessori (il Craxi bersagliato da monetine all’uscita dall’hotel Raphael non era più presidente del Consiglio, e comunque veniva travolto da vicende che superavano di molto i suoi meriti e le sue colpe individuali). Pare evidente che Prodi non è stimato come professore, non è ammirato come leader, e non è nemmeno ritenuto inoffensivo e rassicurante come un Mariano Rumor o un Giovanni Leone prima del Quirinale. Lo si vede fortemente dannoso (ha un brillante secondo posto, dopo Osama Bin Laden, tra coloro che dovrebbero essere buttati dalla torre) e poco carismatico (nonostante i riflettori sempre puntati su di lui per la poltrona che occupa ha un modesto quinto posto tra i personaggi di spicco). Conferme, rilevanti perché vengono da una fonte non sospettabile d’essere ostile a Prodi per partito preso, di quanto già si sapeva.
Non sta dunque in questo il risvolto più interessante del sondaggio. Sta invece nel ruolo che attribuisce a Silvio Berlusconi. Mannheimer ha stilato una classifica di coloro che, nel 2006, sono stati in Italia protagonisti. Ha vinto il Cavaliere. Non nella massa dei suoi fedeli - sarebbe stato troppo facile - ma nella totalità degli interpellati. Si è lasciato alle spalle sia un ex Capo dello Stato molto amato come Carlo Azeglio Ciampi, sia un Capo dello Stato stimato come Giorgio Napolitano. Poi Fiorello e dietro di lui, arrancante in bicicletta, Prodi. Il piacione per antonomasia, Walter Veltroni, è piaciuto moderatamente, a lui la nona posizione.
L’agenda politica non è dettata dai sondaggi: su questo siamo d’accordo. Essi misurano tuttavia la temperatura del Paese e offrono indicazioni preziose sul gradimento di cui godono coloro che hanno governato, che governano, che aspirano a governare l’Italia. Berlusconi ha perso per una manciata di voti la sfida del 9-10 aprile scorso ma rimane incontrastato primattore. Lo rimane più che mai dopo l’avvio rovinoso della gestione di Prodi: il quale, anziché lamentare l’ipotetica eredità di lutti e rovine trasmessagli dal Cavaliere, dovrebbe preoccuparsi dei consensi che va perdendo per i lutti e le rovine già causati dal centrosinistra. Dove qualcuno, sospetto, comincia a considerare Prodi non una guida ma una zavorra.
Lo ripeto, i sondaggi sono segnali, non fatti. Se proprio volesse illudersi Prodi potrebbe osservare che i sondaggisti davano Berlusconi surclassato da lui, nelle ultime politiche, e invece si sono sbagliati, l’esito è stato deciso sul filo di lana. Ma non credo che si illuda. Parla di maggioranza compatta, coesa, forte, solidale mentre sa che è rissosa e disorientata. Pareva, nella conferenza stampa di fine d’anno, che camminasse in un campo minato, attento a non dir nulla che irritasse un Pecoraro Scanio o un Diliberto. Donde circonlocuzioni, genericità, bofonchiamenti, gesti decisionistici delle mani accompagnanti un linguaggio da «mi spezzo ma non mi spiego». Berlusconi non si risparmia né le battute né, all’occorrenza, le gaffes.
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